Cinque anni di cassa integrazione e sostegno al reddito: storia di una crisi aziendale gestita prima del Jobs act (e come sarebbe adesso)

Un caso “pressoché unico nel panorama delle ristrutturazioni del comparto nella nostra regione, e non solo”. Il gruppo Cementizillo – cinque generazioni di storia alle spalle, proprietà della famiglia padovana di origini estensi Zillo Monte Xillo – ha annunciato la chiusura dell’impianto di Este, Padova, dove resteranno solo uffici. Ora dei 12 impianti cementieri operativi nel 2007 a Nord Est ne sono rimasti tre, di cui due di proprietà del Gruppo Zillo. In poco meno di 10 anni (dal 2007 al 2015) il settore ha perso il 60% dei volumi a livello italiano e il 70% a livello Triveneto.

“L’azienda ha atteso 3 anni e 8 mesi prima avviare la procedura di interruzione della produzione ad Este, facendo di tutto per mantenere l’impianto in attività. Si era adoperata in tal senso anche precedentemente, come testimoniano gli investimenti per 25 milioni fatti tra il 2002 e il 2011 per cercare una eventuale uscita dalla crisi e dare a tutte le persone il tempo per prepararsi. Ma non c’è stato alcun segnale di ripresa che potesse giustificare una scelta diversa. Il processo di ristrutturazione aziendale avviato quindi è anche la strada per una ripartenza. Nel frattempo, da più di 40 mesi a questa parte la proprietà non ha smesso un giorno di sostenere il reddito dei suoi lavoratori e di ricercare soluzioni“.

Una immagine storica del cementificio

Una immagine storica del cementificio

Questa non è una capitale, è un paese: a Este ci sono anche gli uffici dei proprietari, le persone si conoscono tutte, arrivano da 10, 15 chilometri al massimo di distanza. E in una azienda con questa storia ci sono dipendenti che sono alla terza generazione di lavoro nel cementificio: figli assunti dopo i padri e i nonni. E’ nato così il meccanismo di protezione che ha accompagnato fin qui chi perderà il lavoro, con l’avvio della procedura di mobilità annunciata per venerdì 22 gennaio. In un panorama di vertenze nelle quali si fatica ad arrivare a un ammortizzatore sociale che dia almeno il tempo di cercare altro, un caso di segno totalmente opposto.

“C’è la precisa volontà di salvaguardare il know how acquisito in oltre 130 anni di storia. Cementizillo non abbandonerà nessuno dei suoi collaboratori e si impegna fin da ora a favorire un serio percorso di rioccupazione, con la certezza che questa fase di contrazione sia un passaggio inevitabile per garantire lo stato di salute e il mantenimento della presenza dell’industria cementiera in Veneto», spiega il direttore Risorse umane Edoardo Sirchia.

La sede del cementificio di Monselice

La sede del cementificio di Monselice

Ecco il percorso seguito. Nel 2011 si apre la prima cassa integrazione ordinaria: viene autorizzata da una commissione provinciale Inps in cui sono presenti sindacati e associazioni di categoria, e la situazione viene rivista ogni trimestre. L’impianto viene comunque mantenuto in attività: significa che ogni sei mesi si riavvia la produzione per almeno 24 ore (ma prima serve portare i forni a temperatura e fare la manutenzione, e dopo va spento e messo in sicurezza: un lavoro di quasi un mese per ogni ripartenza). Questo garantisce la costanza del rapporto di lavoro e la possibilità di estendere al massimo gli ammortizzatori sociali.

I dipendenti identificati in esubero all’inizio della crisi sono 85: tre danno spontaneamente le dimissioni (per andare in pensione o ricollocarsi), 14 accettano la mobilità. Per questi ultimi c’è un incentivo di circa 38mila euro netti: molto alto rispetto ad altri settori, ma questo era un comparto che creava ricchezza e ha accordi precedenti che non vengono rimessi in discussione. Dei 14 in mobilità, 10 raggiungono la pensione, 3 si ricollocano autonomamente, e uno – per chi avvia una attività imprenditoriale autonoma e registra la Partita Iva successivamente all’inserimento in mobilità c’è la facoltà di richiedere l’anticipo in una unica soluzione di tutto l’importo della mobilità da parte dell’Inps – apre una propria attività artigianale. (__www inps it_portale_default aspx_itemdir10264 la circolare che spiega come fare).

Oggi sono sospesi in CIGO (cassa ordinaria) 58 persone; l’azienda ha la facoltà di collocarne 66. I tempi per definire la vertenza – che si avvierà formalmente venerdì 22 gennaio – sono 75 giorni, entro i quali azienda e parti sociali saranno tenuti, se riusciranno, a trovare un accordo. Altrimenti l’azienda dopo questo periodo di trattativa imposta dalle norme avrà comunque la facoltà di mettere in mobilità il personale (dal 13 aprile 2016). Chi è in cassa integrazione percepisce 1.165 euro lordi mensili, circa 850 euro netti mensili: l’azienda ha studiato insieme alle organizzazioni sindacali un meccanismo per il sostegno al reddito in aggiunta alla cassa integrazione. Sono circa 500 euro al mese, che scalano dal totale dell’incentivo alla mobilità stanziato per ciascuno. In totale, l’alternanza fra cig ordinaria e straordinaria arriva a un “ombrello” di 44 mesi di ammortizzatori sociali congiunturali. Si arriverà a un totale di 5 anni e 2 mesi al termine dei 18 mesi aggiuntivi di mobilità che scatteranno dal 12 aprile prossimo.

“Complessivamente l’azienda avrà contribuito a sostenere le “sue persone” per oltre 5 anni, adoperandosi nel frattempo ad esplorare tutte le soluzioni di reimpiego e riqualificazione possibile. Un approccio che rappresenta un caso unico nel panorama delle ristrutturazioni del comparto in questo territorio».
L’azienda si è adoperata e continuerà ad adoperarsi con percorsi di outplacement, ricollocazione interna e altre soluzioni per ridurre gli esuberi.

Lo stabilimento di Fanna

Lo stabilimento di Fanna

I corsi affidati all’ente di formazione della locale associazione industriali in realtà hanno al momento portato a un solo dipendente collocato altrove: la maggior parte delle persone ha preferito aspettare fino alla fine della vertenza prima di optare per l’avvio attivo della ricerca del lavoro. “Questa esperienza, a distanza di oltre un anno, sarà replicata confidando ragionevolmente su tassi di successo più ampi e ben prima che si esplicitino gli effetti di altre crisi aziendali già annunciate che riverseranno nuova manodopera sul mercato “, spiega Edoardo Sirchia, direttore Risorse umane Cementizillo.

L’impegno resta quello di non abbandonare nessuna delle persone coinvolte nella crisi. L’augurio è di poter aggregare intorno a questa sfida tutti gli attori del sistema, istituzioni e parti sociali in primis, che hanno la responsabilità ultima di questo risultato, affinché questa vicenda diventi un esempio virtuoso per gestire il futuro riassetto del tessuto produttivo locale. Tra le varie opzioni in campo, anche la verifica di disponibilità di aziende del territorio a reinserire gli addetti e un secondo ciclo di attività di outplacement e sostegno all’autoimpresa nel quadro di una strategia futura che punterà, con vari interventi, a rafforzare la competitività del gruppo e a dare sostenibilità al business nel lungo periodo.

Pordenone, produzione  di calcestruzzo

Pordenone, produzione di calcestruzzo

Che cosa sarebbe cambiato con le nuove regole in tema di lavoro e gestione delle crisi aziendali? La cassa integrazione non avrebbe potuto andare oltre i due anni (uno di ordinaria e uno di straordinaria per crisi); a questa si possono aggiungere 2 anni di Naspi (la nuova “disoccupazione”): in totale quattro anni, fra periodi “dentro e fuori” al rapporto di lavoro. Sparisce anche la commissione provinciale, che vedeva presenti le associazioni di categoria (industriali, commercio) e i sindacati con una conoscenza approfondita della situazione (azienda, ordini, prospettive concrete di ritorno alla produzione); la decisione sulla cig è affidata al  dirigente Inps che decide in autonomia, in base alle direttive ministeriali. Il caso Cementizillo riassume bene la situazione di un settore che non affronta una crisi superabile con un ritorno alla normalità. “Tutto è stato fatto, secondo le regole esistenti, per dare tempo alle persone di organizzarsi e prepararsi”, sottolinea l’azienda. Con un costo – collettivo e aziendale – elevato – ma al tempo stesso una riduzione al minimo dell’impatto sociale ed economico per i dipendenti dello stabilimento. Ora gli studi di settore escludono che per il cemento si tornerà ai volumi pre-crisi perché la crescita del patrimonio immobiliare e lo sviluppo delle infrastrutture è troppo rallentata, e si volta pagina in un contesto che è già completamente cambiato.

  • vincenzo |

    Tutto molto ben fatto, anzi moltissimo ben fattissimo.
    ma il risultato finale non cambia . la presenza o meno della commissione provinciale non ha cambiato il destino. Quindi non serve a nulla. non ha capacità di incidere per il semplice fatto che è il mercato che ha scaraventato fuori quei bravi lavoratori.
    Con l’attuale normativa la copertura è di 4 anni e non di cinque. Certo è un sollievo ma non cambia il risultato finale.
    Bisognerebbe invece fare analisi dei costi ( che NON sono la solo manodopera, anzi l’incidenza della manodopera non è medio alta ma MEDIO BASSA),
    l’analisi del prodotto/mercato, il posizionamento competitivo, e a valle di questo riprogettare l’azienda e verificare se lavoratori debbano essere espulsi dal mondo del lavoro o no

  • vincenzo |

    Tutto molto ben fatto, anzi moltissimo ben fattissimo.
    ma il risultato finale non cambia . la presenza o meno della commissione provinciale non ha cambiato il destino. Quindi non serve a nulla. non ha capacità di incidere per il semplice fatto che è il mercato che ha scaraventato fuori quei bravi lavoratori.
    Con l’attuale normativa la copertura è di 4 anni e non di cinque. Certo è un sollievo ma non cambia il risultato finale.
    Bisognerebbe invece fare analisi dei costi ( che NON sono la solo manodopera, anzi l’incidenza della manodopera non è medio alta ma MEDIO BASSA),
    l’analisi del prodotto/mercato, il posizionamento competitivo, e a valle di questo riprogettare l’azienda e verificare se lavoratori debbano essere espulsi dal mondo del lavoro o no

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