Ci sono imprese che pagano ancora il conto della crisi delle banche venete

Ci sono imprese che pagano ancora il conto della crisi delle banche venete.

Il presidente di Confindustria Vicenza Luciano Vescovi ha scritto una lettera aperta all’a.d. di Intesa San Paolo Carlo Messina “in merito alle problematiche sull’operatività di numerose Pmi a seguito della “migrazione” dalle ex Banche Venete”.

Questo il testo:

Sono costretto a scriverle con l’urgenza che necessita la condizione in cui si ritrovano numerose imprese vicentine che rappresento.

Una condizione davvero difficile quando non, in alcuni casi, drammatica, dovuta all’inefficace passaggio – dalle ex banche venete a Intesa Sanpaolo – delle posizioni creditizie di molte di esse.

A distanza di mesi dall’inizio dell’operazione di migrazione, sicuramente complessa e delicata, ma che mi aspettavo Intesa Sanpaolo portasse a positiva conclusione in tempi più rapidi, ci ritroviamo ad affrontare pesanti problematiche relative all’operatività di numerose piccole e medie imprese, che rappresentano il cuore del tessuto imprenditoriale del Nordest.

banche-venete-k0qc-835x437ilsole24ore-webTroppe sono infatti le aziende, che nel travagliato passaggio hanno voluto darvi fiducia, le quali si ritrovano oggi con mancate esecuzioni di pagamenti e bonifici, blocco dell’utilizzo di linee di fido per anticipi/sbf derivanti dalle posizioni nelle ex banche venete e addirittura, come una sorta di ultima beffa, anche con l’applicazione della commissione fidi proprio su queste linee bloccate.

Senza contare che alcuni gestori provenienti dalle ex Popolari non sono ancora in grado di utilizzare i sistemi informatici di Intesa Sanpaolo e quindi hanno tempi di risposta troppo lunghi, non compatibili con le esigenze di aziende innovative ed internazionalizzate che devono competere con i colossi europei e mondiali.

Le scrivo quindi con l’obiettivo di vedere tutelate queste aziende, patrimonio non solo degli imprenditori ma anche del territorio, che rischiano di no riuscire a pagare i fornitori o i dipendenti, fino addirittura a trovarsi nella condizione di affrontare un rischio di chiusura, con ovvie ricadute sui lavoratori e sulle famiglie che da esse dipendono.

Si tratta di una situazione inaccettabile nella condizione in cui ci troviamo e lo affermo con la forza dei numeri.

Come riportato anche dalla stampa specialistica, abbiamo recentemente fatto analizzare i bilanci di oltre mille Pmi associate, con risultati di sistema che non lasciano adito a dubbi. Il 79,8% di esse ha una qualità del credito da solida a eccellente (classe di rating Moody’s da Baa3 a Aa2).

Aziende affidabili, che sono in grado di stare sul mercato, compreso quello del credito; moltissime delle quali si trovano nelle condizioni di poter o dover investire, di crescere e di assumere. Ma che, a causa delle problematiche di cui sopra, sono invece impedite nel loro sviluppo o messe in difficoltà su operazioni che dovrebbero essere di ordinaria amministrazione.

La situazione poi diventa davvero complicata per un altro 13,7% che ha una qualità del credito moderata (Ba1 e Ba2)  che quindi può con maggiore difficoltà far fronte con risorse proprie al blocco dell’operatività dovuto ai problemi interni del proprio istituto di credito.

Tutto questo è aggravato dal ritardo, che speriamo si concluda in questi giorni, nella decretazione per la cessione degli Npl alla Sga, che forse tocca solo parzialmente Intesa Sanpaolo, ma di certo toglie ossigeno alle imprese, visto peraltro che non vi è stato alcun tipo di coordinamento e sincronizzazione su questo punto tra le operazioni in capo al Tesoro e il passaggio delle posizioni “sane” dalle ex popolari al suo gruppo.

Non stiamo parlando di qualche sparuto caso, ma di un numero non trascurabile di situazioni che mi sono state sottoposte da colleghi imprenditori. Una situazione che sinceramente non mi aspettavo anche e soprattutto alla luce delle rassicurazioni su fidi e operatività che avevamo potuto apprezzare dai vertici di Intesa Sanpaolo in occasione degli incontri dello scorso ottobre.

Nel richiedere che con la sua autorità e la sua competenza si possa risolvere questa gravosa situazione e di poterla incontrare personalmente, per agevolare e rendere più rapido un ritorno alla normalità, porgo cordiali saluti.

La voce dell’artigianato

Intanto, Confartigianato Veneto continua a ritenere  una “iniziativa importantissima, ma zoppa” l’intervento annunciato da Veneto Sviluppo e Gianni Mion per un fondo destinato a salvare 1.000 imprese (con ricavi tra i 10 ed i 100 milioni) con prestiti incagliati delle ex popolari.

“Plaudiamo a questa iniziativa -dice il presidente Agostino Bonomo –  finalizzata a riportare in bonis una importante fetta di imprese venete “vive”, con prestiti aperti e non revocati ma da luglio nel limbo, visto che di fatto nessuno le sta gestendo e che ancora non si sa bene come lo potrà fare la Sga, anche per le sue caratteristiche. Ma è una operazione parziale. Sono almeno 4 mesi infatti, che chiediamo al Ministero dell’Economia ed ai liquidatori delle due ex popolari, che consentano, anche con l’apporto della SGA (la Società di gestione degli attivi), di fotografare la situazione degli UTP (unlikely to pay) tra i quali, oltre alle mille aziende fotografate da Kpmg messe nel mirino delle iniziative di Veneto Sviluppo, ci sono decine di migliaia di imprese (che hanno la sola “colpa” di avere importi di fatturato minori) che sono nella stessa situazione di ritardi/incagli risolvibili, ma che hanno, nel frattempo, anche loro bloccato ogni accesso al credito bancario”.

“E’ una delle più gravi macellerie imprenditoriali sin qui vista nella nostra regione – conclude Bonomo – che, al di là dei coraggiosi interventi di Veneto Sviluppo, sta registrando un silenzio degli operatori e delle istituzioni, a dir poco imbarazzante. Non vogliamo essere “figli di un Dio minore”.