A colpi di pagaia per ritornare a stare bene (e aiutare le altre donne dopo il tumore al seno)

Il messaggio vuole arrivare forte e chiaro, a chi sta vivendo adesso la fase più difficile: “Dovete sapere che ci sono donne che ci sono passate, esattamente per lo stesso percorso. Siamo il vostro incoraggiamento, la prova che si può superare, si può andare oltre tutto quello che la malattia sembra abbattere. Una diagnosi di tumore ti toglie la progettualità, la capacità di fare programmi, di pensare al futuro, noi vogliamo far capire che si può tornare a stare bene“.

Valeria Mazzuccato è la presidente delle UGO: tre lettere che stanno per Unite Gareggiamo Ovunque. Eccole in questa foto (l’unico uomo è Michele Galantucci, allenatore alla Canottieri Padova)

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Le Ugo nascono dalle “donne in rosa” – un termine che, a livello internazionale, accomuna le donne operate per tumore al seno – all’interno dello Iov, l’istituto oncologico veneto. Le potete conoscere giovedì 17 maggio alle 18.30 nella sede della Canottieri Padova (Iscrizioni: http://bit.ly/reg-ugo )

ugo2Lo sfondo è quello del Galileo, Festival dell’Innovazione, un appuntamento che parla di trasferimento tecnologico con le ricadute sociali, economiche e scientifiche che questo comporta. Dunque trasferimento tecnologico è anche far arrivare a più persone possibile il messaggio che, se di tumore al seno e prevenzione ormai si parla molto, poco si sa (e si fa) sul periodo che segue l’operazione.

“Di tumore al seno si guarisce, e poi?”, ha scritto Silvia Pittarello, divulgatrice scientifica, autrice di Scienza con la pancia e organizzatrice di questo evento: “Superata la malattia, restano i disagi e gli strascichi di terapie estremamente aggressive (la chemio e la radioterapia), di uno stress che definirei post traumatico (ansia, depressione, astenia), di interventi a volte “demolitivi” (come li chiamano i medici) che non solo ti portano via parti evidenti di te stessa (il seno in parte o tutto) ma anche parti che non si vedono, e che però hanno un ruolo importante nell’equilibrio e nel corretto funzionamento del tuo corpo, come i linfonodi, organi responsabili del drenaggio dei tessuti a livello periferico (microcircolazione)”.

Una risposta è il Dragon Boat femminile, e rientra  a pieno diritto nel programma di una rassegna che vuole parlare di innovazione e aiutare a trasferire le conoscenze e diffondere iniziative a ricaduta scientifica.

La specialità è nata nel 1996 in Canada grazie a Donald MacKenzie, medico dello sport che volle sfatare il mito per cui le donne operate di tumore al seno e con linfedema (la sindrome del braccio grosso) non potessero praticare sport pesanti e ancor meno usare gli arti superiori, pena il rischio di aumentarne il disagio post operatorio. In realtà – come dimostrò – la pratica del Dragon Boat, barca da 20 persone che remano fianco a fianco ognuna con una pagaia accompagnate dal ritmo di un tamburo e guidate da un timoniere, faceva benissimo non solo allo spirito ma anche al problema del linfedema. L’unica alternativa, attualmente, è il linfodrenaggio due volte l’anno.

ugo3C’è anche un fortissimo aspetto simbolico, oltre al fattore fisico: “Salire su una barca, essere circondate dall’acqua, cercare di arrivare a una sponda sicura sono tutte metafore della propria storia – spiega Valeria, 54 anni, funzionario pubblico, operata in aprile del 2014  – . Ma c’è anche la fatica del pagaiare, e questo ti costringe a staccare completamente con la mente dal tuo problema, una impresa difficile per chi sente costantemente di avere una spada di Damocle addosso“. Per Valeria, con una familiarità al tumore al seno, la prevenzione ha avuto un ruolo chiave: “Sono mancate mia mamma e mia zia entrambi molto giovani. Inoltre, mia sorella ha avuto prima di me il tumore al seno e per questo sono entrata in un protocollo di sorveglianza dello IOV. Questo mi ha permesso di scoprire il cancro molto presto e mi ha sicuramente salvato la vita”.

A bordo hanno mediamente 45-50 anni: ma c’è chi ne ha 30, chi ha compiuto i 70. E chi deve affrontare una recidiva, nuove terapie, e allora si limita a dare il tempo, per tornare a remare appena possibile, o sta semplicemente nel gruppo. “Al 90% nessuna di noi era una sportiva, qualcuna proprio non aveva mai fatto alcun genere di attività. Oggi ci troviamo due volte a settimana, d’inverno in vasca invece che sul fiume. In tre anni siamo diventati la quarta squadra in Italia per numerosità, dopo Roma, Firenze e Torino”.

Storia del Dragon Boat

C’era una volta un poeta che si gettò nel fiume per protestare contro i soprusi del potere.

Era il quinto giorno della quinta luna di oltre 2000 anni fa e Qu Yuan, poeta e patriota dello stato di Chu, in balia del fiume Mi-Luo fu soccorso da pescatori su grandi barche.

Uno di loro lanciava riso e percuoteva un tamburo cercando di allontanare i pesci che avevano attaccato il poeta, mentre gli altri remavano veloci per raggiungerlo il più in fretta possibile.

I pescatori, ahimè, non riuscirono a salvare il poeta ma, gareggiando contro il tempo e in vista di un traguardo molto importante (salvare l’uomo), avevano dato origine senza saperlo alla prima gara di Dragon Boat.

Storie e leggende a parte, le origini del Dragon Boat son da ricercare nella Cina del Sud, nella regione del Chiang Jiang, verso il 500 A.C.

La morte di Qu Yuan si commemora alla “Festa delle barche drago”, le Dragon Boat, celebrata ogni anno il quinto giorno della quinta luna e cioè a giugno.

Nel 1976 la Hong Kong Tourist Association trasforma la tradizione popolare del Dragon Boat in uno sport con regolamento internazionale.

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