Duecentomila euro all’anno costa ripulire i muri dai graffiti indesiderati. Diecimila ne sono serviti per rendere il writing legale e dargli il compito di abbellire e riqualificare un angolo di città, riconoscendogli il ruolo di forma d’arte. A Padova i writers riuniti nell’associazione Jeos sono stati incaricati di intervenire sulle pareti esterne di alcuni complessi di edilizia popolare amministrati dall’Ater. Il comune ci ha messo i soldi per le gru, che hanno portati i ragazzi fino a 24 metri d’altezza, e le bombolette spray di colore: 6mila.
Si chiamano Orion, classe 1975, residente a Padova, e Yama, di origini cagliaritane: due dei sei writer al lavoro in questi giorni. L’associazione che li riunisce, Jeos, è stata fondata da Antonio Ceccagno, padre di un giovane artista (Jeos, appunto) morto nel 2011 precipitando da una casa.
L’obiettivo è sdoganare l’arte distinguendola dal vandalismo. Precedenti di writers coinvolti nell’arredo urbano si contano finora solo a Bologna e Torino, ma all’estero si va da Lisbona al Sud America, dal progetto Living Art a Mosca ai pixadores brasiliani. In dimensioni minori, nel Veneziano e in altri centri del Veneto ai ragazzi armati di spray sono stati affidati sottopassaggi e recinzioni.
Il vandalismo c’è, eccome: nel centro storico di Venezia sono sotto attacco facciate e monumenti, e in tutta la regione vandalismi e attacchi di writers hanno danneggiato, solo a marzo, 41 carrozze di 27 treni regionali con danni per 23mila euro, segnala Trenitalia.
Quella di Padova vuole essere un’altra storia e – dicono all’assessorato al Verde pubblico e arredo urbano – portare in città “l’avanguardia artistica delle più importanti capitali europee e mondiali, dando nuova vita e colore alle periferie. Affidandole ad artisti famosi in ambito internazionale”.
Il primo intervento artistico ha riguardato il plesso di edilizia popolare in Via Fratelli Carraro, Padova, zona Ippodromo, poi via Stella e via Pizzamano.
Il progetto Ahead va anche oltre: il Comune vuole mettere a disposizione del writing legale dei “muri palestra”, lungo strade e cavalcavia, per far crescere le nuove leve del colore; spazi autorizzati come vere e proprie “hall of fame”, e conseguentemente ragazzi che escono dall’illegalità (con i rischi che comporta).
Che realizzare murales nelle città sia altra cosa dal danneggiare lo dimostra anche un’altra storia, quella di Massimo Mion, ingegnere 40enne che lavora a Ca’ Foscari. Portano la sua firma tre dipinti realizzati alla stazione di Porta Garibaldi, a Milano. Un talento della “Urban art” che ha già decorato con le figure di Space Invader, videogame di culto anni ’80, una installazione pedonale lungo le strade di Favara, borgo storico della provincia di Agrigento. Oggi allestisce mostre e partecipa ai sempre più numerosi concorsi indetti da amministrazioni locali.
In molti comuni si sta discutendo della possibilità di concedere spazi (cioè muri) all’arte di strada: “Momenti di colore nelle città, che siano di denuncia, protesta, ringraziamento, commemorazione o pura esibizione, semplici episodi di pura "arte per arte" – si legge nel sito dell’associazione Jeos – , sono comunque attimi di arricchimento per gli individui. Libere creatività non solo per gli artisti realizzatori ma anche per gli inconsapevoli fruitori delle opere.
Fra le città in prima fila Monza, Verona, Ancona, Bologna, Roma, che hanno iniziato a indire concorsi per aprire all'arte urbana come occasione propositiva per i giovani, ma anche per il miglioramento delle aree degradate.