Siedono allo stesso tavolo: hanno opinioni talvolta opposte – a cominciare dal Jobs act – ma insieme hanno messo a punto un “avviso comune” che punta a fare di Vicenza il luogo della sperimentazione della prima forma di partecipazione dei lavoratori al capitale delle imprese.
Il progetto prevede, su base volontaria sia da parte dell’impresa che del dipendente, che una quota anche variabile nel tempo di retribuzione nella parte eccedente il minimo contrattuale legato all’orario standard (il premio di produzione, ad esempio) possa essere accantonata e non liquidata immediatamente, alimentando un sistema di risparmio (da parte del lavoratore) e di finanziamento (da parte dell’impresa).
Nel regime attuale nessuna azienda può raccogliere direttamente risparmi: questo implica il convolgimento del sistema finanziario. Allo stesso modo, non esiste un incentivo a investire parte dei risparmi nell’impresa in cui si lavora, mentre le risorse versate ai Fondi pensione vengono necessariamente investite sui mercati finanziari internazionali, di fatto favorendo il finanziamento di aziende estere, anche concorrenti.
Nell’intesa siglata da Confindustria Vicenza con Cgil, Cisl e Uil l’azienda sposta una parte del proprio debito salariale nel tempo, differendo l’uscita di cassa ed emettendo un titolo sottoscritto da un operatore finanziario che rende il dipendente un “creditore indiretto” dell’impresa e a un tasso di rendimento superiore a quello mediamente ottenibile sul mercato. Il tutto garantendo la possibilità, per il lavoratore, di poter attingere alle risorse accumulate in caso di bisogno.
Per rendere la proposta praticabile servono due passaggi. Il primo è una legislazione di sostegno, sotto forma di un incentivo fiscale e contributivo che renda conveniente per il dipendente questa scelta: potrebbe essere studiata anche una forma di incentivo pubblico (nazionale, regionale o locale, anche tramite le camere di commercio) che da un lato aumenti il rendimento per il lavoratore, e al tempo stesso abbassi il costo per l’azienda. In secondo luogo serve un accordo aziendale.
L’idea è già stata sottoposta al ministero del Lavoro, che ha dato la disponibilità ad avviare, in tempi rapidi, un provvedimento in questo senso. Adesione unanime anche da parte dei parlamentari vicentini di ogni schieramento, che si sono detti disponibili a sostenerne l’iter.
«Siamo pronti a sperimentare sul campo l’efficacia di questo accordo» spiega il presidente degli industriali vicentini Giuseppe Zigliotto, che dà atto ai sindacati «di essersi spinti in un campo nuovo, quello delle esigenze finanziarie delle imprese. Merito delle buone relazioni coltivate anche in questi anni difficili».
Sette anni «di strenua resistenza alla crisi – sottolinea Marina Bergamin, segretaria generale Cgil provinciale – che hanno portato a un necessario salto di qualità. Qui non si tratta di abbassare il costo di lavoro, ma di investire su entrambe le parti in causa».
Questo genere di accordo non ha alcun legame con i salvataggi di realtà in crisi: i soggetti identificati sono aziende di dimensioni almeno medie, con un rating bancario “investment grade”; lavoratori a tempo indeterminato assistiti dal sindacato; un sistema bancario e finanziario come supporto per l’emissione di titoli e garanzie a favore dei lavoratori.
«Questo è un progetto innovativo frutto di un anno di lavoro congiunto» spiega Grazia Chisin, Uil. E ci sono casi in cui un accordo del genere avrebbe già potuto portare i dipendenti a dire qualcosa di più sulle sorti della loro azienda. La contropartita all’investimento sta infatti anche in una maggiore partecipazione dei lavoratori alle scelte strategiche dell’impresa, e in una sua gestione ancora più trasparente.
«Mettiamo sviluppo, tutela dei lavoratori e competitività sullo stesso piano – aggiunge Gianfranco Refosco, Cisl – senza calare alcuna decisione dall’alto. Se il lavoratore investe sull’impresa, questa a sua volta deve credere e investire sul lavoro: un cambiamento totale di prospettiva nel segno della responsabilità e della condivisione, e con meno conflittualità fra le parti».
I tempi? L’obiettivo è partire con la sperimentazione nelle prime realtà entro l’estate: le aziende candidate a mettere alla prova la partecipazione dei lavoratori non mancano.