Lo scorso anno accademico, 22 studenti del corso di laurea magistrale in Design del prodotto, allo Iuav di Venezia, hanno affrontato un esame particolare: lo scopo era progettare una protesi per chi – a causa di un trauma, o di una malformazione – fosse privo di un arto superiore. Hanno incontrato il dottor Paolo Piovan, responsabile dell’unità di Chirurgia ortopedica e traumatologia dell’ospedale di Porto Viro, hanno studiato le situazioni (tutte diverse) e le implicazioni anche psicologiche, hanno valutato le alternative già presenti sul mercato – i loro costi, i loro limiti – e hanno messo a punto ciascuno il proprio progetto. Poi lo hanno stampato in 3D.
Spesso di stampa 3D “si parla un po’ a sproposito, ma ci sono campi nei quali questa tecnologia è ideale. Le protesi d’arto ad esempio: devono essere realizzate pezzo per pezzo, praticamente a misura di ogni singolo destinatario, sulla sua situazione di partenza, sulle sue esigenze”, spiega Lorenzo Secco, il docente che con il collega Giorgio Gaino ha seguito il progetto. Se poi si parla di bambini, allora la protesi deve “crescere” con loro, cambiare velocemente, consentire un certo tipo di operazioni come impugnare una matita.
Oggi le alternative sono due, spiega Secco: “Ci sono protesi estetiche, che riproducono al meglio un braccio vero. Ma hanno scarsa funzionalità, quasi nulla, e sono molto costose: fino a 5-6mila euro per un braccio. Le protesi funzionali, invece, sono di tipi molto diversi; per quelle bioniche, comandate dai residui terminali nervosi dell’arto, si può spendere da 18mila a 40mila euro, e le difficoltà non mancano: sono difficili da usare, il tempo di apprendimento è lungo, hanno una autonomia di carica limitata e pesano molto”.
Al centro protesi Inail di Budrio, il più specializzato (qui con una operazione umanitaria si sono curate molte vittime della guerra dell’ex Jugoslavia), segnalano che il 20% delle persone mutilate sceglie una protesi a “uncino” che consenta di svolgere almeno alcune operazioni, piuttosto che una protesi puramente estetica. Oggi internet e la filosofia “open source” hanno reso disponibili i file per la stampa in 3D di alcuni tipi di strumenti, ma con molti limiti. Gli studenti hanno pensato a come migliorare i risultati.
Hanno realizzato protesi estremamente funzionali, ma anche “economicamente ed esteticamente” adatte a chi le porta. Perché sono tante le azioni che ci si trova a dover svolgere in una giornata: cucinare, ad esempio, portare piccoli peso come un sacchetto della spesa, scrivere, alternando prese solide e altre più leggere. Se i costi fossero significativamente ridotti – 3-400 euro invece che 8mila, e meno di una giornata di lavorazione – sarebbe possibile immaginare di avere più protesi per funzioni diverse, da cambiare a seconda delle proprie esigenze, migliorando la propria vita.
Dei 22 progetti, quattro sono stati selezionati per la loro qualità e “adottati” da UniS&F (società di servizi e formazione delle Unioni degli industriali delle province di Treviso e Pordenone a cui appartengono oltre 3.000 aziende), che nel proprio Lab ha anche apparecchi per la stampa tridimensionale, e da Efesto Lab Srl di Padova, specializzata in additive manifacturing e prototipazione rapida. Dal 15 ottobre i lavori degli studenti e le prime protesi realizzate diventano una mostra che racconterà tutte le potenzialità della stampa 3D in medicina, a portata di chi opera nel settore, delle aziende, anche dei possibili destinatari. Alla base c’è una serie di pezzi che non si basano sull’elettronica, ma sulla meccanica: bassi costi, alta affidabilità, tutta la complessità è risolta a monte, nel progetto, e restituisce un oggetto facile ed economico.
Un’esperienza apripista che ha portato UniS&F e università Iuav ad attivare una convenzione che mette a disposizione di tutti gli studenti e docenti veneziani conoscenze e risorse disponibili nel laboratorio di Treviso, in un esempio virtuoso di collaborazione fra ateneo e mondo delle imprese.
Quanto agli studenti – superfluo dirlo – all’esame sono stati promossi tutti.