Non chiamateli cervelli in fuga: sono intelligenze integrate nelle comunità scientifiche del Nord America, grazie al loro talento e alle competenze acquisite in Italia. E un giorno, c’è chi sogna di rientrare e applicare proprio in Italia l’esperienza fatta.
Sono quattromila i ricercatori e docenti affiliati alla fondazione ISSNAF (Italian Scientists and Scholars of North America Foundation) che riunisce 4mila «cervelli in fuga» italiani in Nord America, e che il 7 e 8 novembre 2017 celebra il suo evento annuale all’Ambasciata italiana di Washington, sotto l’Alto Patronato del presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Al centro dell’evento saranno poi le premiazioni degli ISSNAF Awards. I 16 finalisti, ricercatori italiani under 40 selezionati tramite un bando, presenteranno a una giuria i loro progetti di ricerca in cinque campi: leucemie; scienze ambientali, astrofisica e chimica; medicina, bioscienze e scienze cognitive; ingegneria; matematica e fisica. Saranno premiati i cinque migliori elaborati.
Ci sono anche tre giovani donne del Nordest fra le finaliste agli Issnaf Award.
Tra le proposte presentate si trovano idee e soluzioni che vanno dall’intelligenza artificiale nei robot usati nelle missioni spaziali alle nuove cure per tumori e leucemie, dalla chimica che tramuta lo smog in sostanze utili per l’uomo alla percezione dell’olfatto da parte del cervello, fino ad ambiti di ricerca pura come la geometria algebrica.
Fondata nel 2008 sotto gli auspici dell’Ambasciata Italiana negli Stati Uniti su iniziativa di 36 noti scienziati ed accademici, tra cui 4 Premi Nobel, ISSNAF è un’organizzazione no-profit, la cui missione è quella di promuovere la cooperazione in ambito scientifico, accademico e tecnologico tra ricercatori e studiosi italiani che operano in Nord America ed il mondo della ricerca in Italia. Con un network di oltre 4mila affiliati, che annovera illustri scienziati e giovani ricercatori, ISSNAF è il maggiore rappresentante della diaspora intellettuale italiana in Nord America e un ponte che collega le due rive dell’Atlantico, per consentire la condivisione e la diffusione di un inestimabile patrimonio conoscitivo.
Sara, da Pordenone a Houston, Texas,
per combattere il tumore
Sara Lovisa, una delle finaliste allo Hogan Lovells Award nell’ambito degli ISSNAF Awards 2017, ha, 34enne ed è di Azzano Decimo (Pordenone). Si occupa di terapia dei tumori attraverso lo studio dei meccanismi di danno e rigenerazione dei tessuti del nostro corpo.
«Ci occupiamo di studiare sia i meccanismi che portano i tumori a diffondersi in organi distanti, definiti metastasi tumorale, sia la fibrosi, che consiste nella riparazione di un danno tissutale mediante la sostituzione con un tessuto che è molto simile a quello di una cicatrice». Sara racconta la sua attività dal laboratorio dello MD Anderson Cancer Center, centro di cura e di ricerca sul cancro a Houston, all’interno del “medical center” più grande del mondo, che raggruppa un gran numero di istituzioni di ricerca accademica e translazionale: laboratori dove si forgiano le nuove idee di cura e ospedali in cui vengono applicate dai medici.
Nel dettaglio, la ricerca portata avanti da due anni da Sara Lovisa riguarda i meccanismi di fibrosi, ovvero tutto quell’insieme di misure che il nostro corpo mette in atto quando i nostri organi vengono danneggiati da eventi quali l’infarto nel cuore, il morbo di Chron nel colon, diabete, calcoli e ischemie nei reni. «I nostri organi reagiscono a questi traumi formando delle “cicatrici” e cercando di ripristinare la normale funzionalità – spiega –. Spesso però la rigenerazione non avviene, il tessuto perde funzionalità e diventa un ammasso di collagene». Questi stessi meccanismi vengono messi in atto dal nostro corpo anche in presenza di un tumore, al fine di contrastarne la diffusione. «Studiamo entrambi i processi perché, sorprendentemente, hanno un sacco di caratteristiche in comune. Ad iniziare, per esempio, dal microambiente, ovvero l’insieme di cellule del sistema immunitario, fibroblasti e cellule dei vasi sanguigni, che partecipa sia ai processi tumorali che a quelli fibrotici. Il nostro scopo è quello di studiare tumori e fibrosi non come entità isolate ma nel contesto di tutto ciò che ne ruota attorno, e lo facciamo osservando questi meccanismi nei topi per individuarne le analogie». Il fine è capire come intervenire per limitare la diffusione del tumore e per restituire al tessuto la sua funzionalità originaria: «Scoprire questi meccanismi ci permette di cercare in maniera più razionale i target terapeutici. Il passo successivo è lo sviluppo del farmaco, cioè lo sviluppo di contromisure in grado di colpire le cellule tumorali».
Sara si è laureata nel 2008 in Biotecnologie mediche all’Università di Padova, ha conseguito un dottorato di ricerca all’Università di Udine lavorando presso il CRO – Centro di Riferimento Oncologico di Aviano (Pordenone) nel laboratorio del dottor Gustavo Baldassarre. Nel 2013 ha vinto l’application che l’ha portata nel laboratorio del professore Raghu Kalluri per un post-doc allo MD Anderson Cancer Center.
«Qui siamo al top per il livello di tecnologie, di risorse e di velocità con cui si ottengono i risultati delle nostre ricerche – racconta –. Ho lavorato benissimo anche in Italia, vengo da un laboratorio che mi ha dato una formazione solida e completa, senza la quale non sarei qui. Mi sento fortunata e sogno un giorno di poter riportare in Italia la professionalità e l’esperienza che ho acquisito. La qualità della ricerca italiana non ha nulla da invidiare agli Usa, dove noi ricercatori italiani siamo apprezzatissimi. La differenza sta nelle risorse a disposizione».
Sara Buson, da Padova alla Nasa
per guardare il cielo
con il telescopio più grande al mondo
La matematica, la fisica e le stelle. Fin da piccola, anche grazie a un astronomo in famiglia, il cugino del padre, sono state queste le passioni di Sara Buson, classe 1979, nata e cresciuta a Pernumia (Padova). Al momento di decidere quale percorso di studi intraprendere, se fisica o astronomia, ha optato per la scelta più pragmatica: «Male che vada un lavoro fuori dall’accademia si trova più facilmente con una laurea in fisica che con una in astronomia» afferma.
E così si è iscritta all’Università di Padova, dove si è laureata in astrofisica e ha ottenuto il dottorato di ricerca nel 2013. «Sin dall’inizio ho avuto grande indipendenza nel mio lavoro, con l’opportunità di inserirmi in un contesto internazionale» racconta. Al dipartimento di fisica, grazie al supervisore Denis Bastieri, ha potuto lavorare con il telescopio spaziale per raggi gamma Fermi ed entrare a far parte della collaborazione Fermi LAT (Large Area Telescope), tra i cui principali promotori oltre alla NASA ci sono le agenzie spaziali di Italia, Francia, Giappone e Svezia.
Al dottorato è seguito un post doc a Padova per proseguire il lavoro in forza al gruppo Fermi. In questo periodo Sara ha avuto la possibilità di crescere professionalmente tra le migliori Università ed enti di ricerca al mondo, tra cui Berkeley e Stanford: «Nonostante il gruppo padovano fosse relativamente piccolo, lavoravamo in un ambito internazionale: ho così collaborato con i più grandi esperti del settore, persone da cui imparare non solo professionalmente ma anche umanamente, pronte a confrontarsi e a rapportarsi in modo semplice e costruttivo con chiunque». Dopo poco più di un anno di post doc la giovane ricercatrice ha avuto quella che definisce «un’offerta irrinunciabile»: lavorare negli Stati Uniti al Goddard Space Flight Center, il prestigioso centro della NASA dedicato alla ricerca spaziale. Qui si trova tuttora, grazie alla vincita di premi e finanziamenti per supportare la sua ricerca.
«Il focus della mia ricerca è l’Universo degli eventi più energetici e violenti conosciuti, studiati tramite i raggi gamma catturati dal Fermi LAT – spiega –. Le galassie attive sono gli oggetti che trovo più affascinanti: al loro centro c’è un buco nero super-massiccio, che è il motore principale della fonte di energia. Queste galassie sono acceleratori naturali di particelle che ci permettono di studiare energie inaccessibili anche ai più potenti acceleratori costruiti dall’uomo, come quelli al CERN. Studiandole, possiamo ottenere importanti informazioni riguardo l’origine e l’evoluzione del nostro Universo. Ad esempio, trovandosi a distanze cosmologiche notevoli, ci permettono di testare l’effetto di lente gravitazione, ipotizzato per la prima volta da Albert Einstein nella teoria della relatività generale».
Ma gli interessi di Sara sono più vasti. «I raggi gamma, rilevati col telescopio LAT, sono solo una parte del “puzzle” che dobbiamo comporre per descrivere il nostro Universo». Per questo sta usando i dati del Fermi LAT nel cosiddetto contesto dell’astrofisica “multi-messenger”, congiuntamente a quelli dei detector di onde gravitazionali LIGO/Virgo, e del rilevatore di neutrini IceCube. Alla domanda sul suo rapporto con l’Italia, Sara risponde che per lei il nostro paese è sempre più bello visto da lontano, e non è l’unica a pensarla così.
«Sebbene sotto certi aspetti gli Stati Uniti non siano un paese facile in cui vivere, professionalmente offrono molte più opportunità e soddisfazioni personali».
Angela Bononi, dalle Hawaii
un gene per bloccare i tumori
Dieci anni. Tanto è passato da quando – il 26 ottobre 2007 – Angela Bononi si è laureata in Chimica e Tecnologia Farmaceutiche all’Università di Ferrara. Classe 1983, nata a Rovigo e cresciuta a Fiesso Umbertiano (Rovigo), ama definirsi ferrarese di adozione.
«La mia passione per la chimica è nata già alle superiori. Quando, durante la laurea, ho dovuto decidere se prendere un indirizzo più chimico farmaceutico o biologico, ho capito che la ricerca di laboratorio era ciò che mi interessava e appassionava di più».
Così ha deciso di affrontare con l’internato di tesi, presso il laboratorio del professor Rosario Rizzuto, il mondo della ricerca biologica molecolare.
Dopo un anno di borsa di studio per continuare a lavorare in questo campo, Angela Bononi ha intrapreso il dottorato di ricerca in Biochimica, biologia molecolare e biotecnologie sempre a Ferrara, sotto la supervisione del professor Paolo Pinton. «Fare ricerca è costoso, e in Italia il fattore economico può essere limitante» afferma. Tuttavia l’università era ben finanziata, e il livello delle pubblicazioni alto. Dopo aver conseguito il dottorato nel 2012, la ricercatrice è rimasta un altro anno come post doc, finché nel 2013, grazie a una collaborazione tra l’ex mentore professor Pinton e l’attuale capo professor Michele Carbone, è arrivata la possibilità di trasferirsi alle Hawaii per lavorare presso un laboratorio internazionale in cui collaborano studiosi cinesi, giapponesi, italiani e americani, all’interno della University of Hawaii Cancer Center, Thoracic Oncology.
Gli studi di Angela Bononi l’avevano portata a conoscere la familiarità per il mesotelioma, un tumore raro. Il professor Carbone aveva identificato casi di questa familiarità prima in Turchia e poi negli Stati Uniti, convincendosi che esistesse una predisposizione genetica. Nel 2011, Carbone ha identificato che il gene BAP1 quando è mutato predispone al mesotelioma e altri tumori, fenomeno che il team di lavoro ha chiamato “BAP1 cancer syndrome”. «Ho esaminato i meccanismi responsabili della potente attività di soppressore tumorale di BAP1, cercando di capire perché individui in cui questo gene è mutato sviluppano mesotelioma e altri tumori correlati a cancerogeni ambientali» spiega Bononi.
In Italia la ricercatrice studiava i meccanismi di morte cellulare, e spiega che esistono delle vie di segnalazione mediate dal calcio, che agisce da messaggero intracellulare. Se però queste vie vengono alterate le cellule non muoiono più, e cellule che hanno accumulato danni al DNA possono proliferare originando tumori. «Abbiamo identificato la molecola su cui BAP1 agisce, stimolando i processi di morte». Inoltre, gli effetti di mutazioni di BAP1 sono stati correlati al “Warburg effect”. Una cellula normale usa l’ossigeno per respirare e produrre energia. Se le cellule mutano e sviluppano meccanismi anaerobici, producendo energia senza utilizzare ossigeno (Warburg effect), i tumori vengono agevolati. Il compito di Angela Bononi e del suo team è cercare di revertire questi fenomeni, bloccando in qualche modo lo sviluppo dei tumori.
«In Italia sono stata fortunata – afferma la ricercatrice –, perché non ho sofferto limitazioni economiche, ma qui in America siamo lasciati molto più liberi di sviluppare, pensare e organizzare esperimenti come vogliamo. Siamo anche liberi di avere idee sbagliate e poter cambiare direzione: a volte le scoperte migliori partono proprio da risultati inattesi».
L’Italia le manca sempre, come accade spesso a chi non ci vive più. Ma la soddisfazione di fare nuove scoperte e il modo in cui si sviluppano i progetti di ricerca la porta a pensare che non tornerà, almeno nell’immediato futuro.