I presidenti di Confindustria Bulgaria, Maria Luisa Meroni, e di Confindustria Romania, Giulio Bertola, sono entrambi bloccati, in situazioni opposte. Meroni non può raggiungere l’azienda che ha fondato nel 2005, la Mbm Metalwork con sede a Ruse, sul Danubio, e che lavora per le sedi italiane di Meroni Fratelli e di Mytech Accessories nella componentistica destinata in particolare al settore automotive. «La Bulgaria opera come fornitore per l’Italia, ma siamo bloccati: è impossibile per i tecnici andare in missione per manutenzioni o riparazioni di macchinari – spiega – Si parla di impianti progettati e costruiti in Italia, e che dunque richiedono una assistenza specifica, irreperibile all’estero. Ma nemmeno sostenendo costi esorbitanti i tecnici sono disponibili a subire una quarantena». Una situazione «inaccettabile e incomprensibile»: si spiega così la richiesta delle due associazioni, con la Camera di commercio di Sofia, di rimuovere «l’isolamento fiduciario reimposto fino al 7 ottobre dall’ultimo Dpcm per i due Paesi, a fronte di una situazione notevolmente meno preoccupante di quella registrata in altre aree». Una richiesta finora senza risposta.
Dal canto suo Giulio Bertola, presidente di Confindustria Romania – la più grande territoriale di Confindustria per numero di associate al di fuori dell’Italia – non rientra in Italia da marzo. Un presidio costante «alle nostre imprese che sono provate da una doppia situazione: prima il lockdown italiano, quando qui si sono dovute fermare le aziende delle filiere che lavorano con l’Italia, poi, quando a Roma la situazione si è assestata, Bucarest è entrata nel pieno dei contagi». Bertola opera in Romania dal 1996, e in forma stabile dal 2006 per seguire le principali privatizzazioni italiane nel Paese; oggi giudica inspiegabile la penalizzazione che stanno subendo Romania e Bulgaria: «Un’incomprensibile mancanza di attenzione verso un territorio strategico, con importanti investimenti italiani, un patrimonio produttivo indispensabile oltretutto per contribuire ad accogliere, insieme all’Italia, il prossimo reshoring delle produzioni dai mercati asiatici».
La presenza italiana in Romania è cresciuta nel tempo, tanto che il Paese veniva considerato l’ottava provincia veneta: nel 2001 l’assemblea degli industriali di Treviso scelse come sede Timisoara. «Oggi la presenza è fatta perlopiù di piccole e medie imprese a a capitale italiano di natura giuridica romena, sotto i 100 dipendenti, oltre naturalmente a multinazionali come Enel, Pirelli, De Longhi e Prysmian», spiega Bertola.
A Bacau opera la Rhino Safety, che produce calzature di sicurezza come la “sorella” italiana Exena di Civitanova Marche: «Il design è in Italia, sviluppo e modelleria sono in Romania: ecco perché è necessario che il personale viaggi», spiega il titolare Alfio Cicchinè. «Ho una impresa anche in Spagna, nessun controllo per chi arriva da lì. Che senso ha? Noi abbiamo volontariamente alzato la guardia, facciamo fare tamponi prima della partenza e al ritorno, affidandoci a un centro medico privato e sostenendone il costo. Siamo i primi a voler salvaguardare dal contagio una realtà dove lavorano mille persone».
L’interazione economica e produttiva tra Italia e Romania è consolidata: «Un punto di forza per le aziende italiane che possono contare su un’internazionalizzazione moderna, il risultato di un ventennio di lavoro e di messa a punto di procedure e metodologie lavorative. Ecco perché consideriamo indispensabile la movimentazione costante di imprenditori, manager e tecnici tra i due Paesi, figure indispensabili per le gestioni e le programmazioni produttive di queste filiere», riprende Bertola. Le aziende a capitale italiano in Romania hanno subito effetti paradossali come quello che ha interessato la multinazionale italiana Ultrafog, specializzata nella produzione e montaggio d’impianti antincendio ad alta pressione per il settore navale, dei treni e dei grandi complessi industriali, quartiere generale a Viareggio e produzione per il settore navale a Tulcea: gli ingegneri rifiutano le trasferte in Romania, per non dover restare in quarantena al rientro in Italia. Oltretutto proprio Ultrafog stava per importare nel Paese una tecnologia rivoluzionaria per sanificare l’aria che circola in grandi spazi, anche dai virus, ad esempio l’aria condizionata nelle grandi navi.
La soluzione proposta dalle imprese che operano in Romania e Bulgaria è di immediata attuazione: «Organizziamo i tamponi qui, nelle 72 ore precedenti il viaggio. Come associazione possiamo raccogliere le esigenze delle imprese e supportarle, e siamo anche disposti a sottoporci al tampone rapido all’arrivo in Italia, come previsto per altre destinazioni. Il rischio è compromettere irrimediabilmente uno dei principali e strategici asset produttivi per l’Italia, in un momento nel quale tutta Europa si rafforza per affrontare la complessa ripartenza economica», conclude Bertola.