Per decenni è stato il simbolo delle lotte operaie di Porto Marghera. Un capannone situato di fronte all’ingresso del Petrolchimico istoriato da murales che hanno segnato la storia sindacale del polo industriale. Fino a quando, è storia di circa venti giorni fa, il Capannone, con la C maiuscola, è stato venduto dall’Eni al Comune di Venezia per 3.920 euro.
Una somma irrisoria, alla quale andranno aggiunti altri 300mila euro per la ristrutturazione dell’immobile che sarà allo stesso tempo luogo di incontro, sede espositiva e di testimonianza della storia industriale di Porto Marghera. Cgil e Uil, già sul piede di guerra per la chiusura dell’obsoleto impianto di Cracking, non l’hanno presa bene, rivendicando il diritto che l’edificio rimanga luogo di ritrovo dei lavoratori.
E’ così scattato il presidio sine die del Capannone, che dal 12 maggio sta vivendo una seconda vita fatta di direttivi sindacali, incontri e spettacoli. Per il Capannone hanno spezzato una lancia varie personalità, da Massimo Cacciari a Pif, ridando forza alle rivendicazioni dei lavoratori del polo industriale veneziano.
In visita è arrivato anche il segretario nazionale di Sinistra italiana Nicola Fratoianni, che ha annunciato per i prossimi giorni la volontà di presentare una interrogazione parlamentare.
E c’è anche una raccolta firme sulla piattaforma Change, intitolata “Salviamo il capannone del Petrolchimico di Porto Marghera”: “Il comune di Venezia – si legge nel testo – ha deliberato l’acquisto della casa dei Lavoratori di Porto Marghera senza alcun confronto con chi li rappresenta: le Organizzazioni Sindacali! Nessun rispetto per la storia di questo simbolo delle lotte operaie, nessun rispetto per i lavoratori, nessun rispetto per il Sindacato. Un altro colpo alla democrazia del nostro territorio. Una scelta sprezzante da parte di chi riveste una carica pubblica e la esercita come fosse tutta roba sua. Noi vogliamo un accordo immediato che garantisca l’uso del capannone sindacale ai lavoratori“.