È la prima ‘Urban farm’ in Trentino ed è l’unica in Italia per le sue finalità, che non si limitano a valorizzare i prodotti della terra di un “orto in città” ma anche – e soprattutto – il capitale umano.
Si chiama “Orto San Marco-Setàp” ed è il risultato di un progetto sia di rigenerazione urbana che di rigenerazione sociale, nato dalla collaborazione tra pubblico e privato con il coinvolgimento di vari enti ed istituzioni. “L’intuizione di dare vita a questo progetto rappresenta una scelta importante per Rovereto, con iniziative nuove che troveranno ulteriori sviluppi in futuro – ha affermato l’assessore allo Sviluppo economico, ricerca e lavoro della Provincia autonoma di Trento Achille Spinelli portando il saluto dell’assessore all’agricoltura Giulia Zanotelli e dell’intera Giunta provinciale – Qui si fa ricerca partendo dalla terra, dalle origini rurali e dalla storia, con Rovereto che ha vissuto un periodo importante con la coltivazione del gelso per l’industria della seta. Grazie anche alla Fondazione Demarchi che sostiene questo progetto e la collaborazione con BioTech – Università di Trento, in futuro a Rovereto vedremo nuove iniziative nel settore delle biotecnologie”.
“Orto San Marco-Setàp” è uno spazio misto, aperto alla produzione biologica – con la vendita al pubblico – alla formazione, all’innovazione, al racconto della biodiversità e alla socialità. Come hanno spiegato Tommaso Manfrini dell’azienda agricola Mangio Trentino e Giulia Pizzini dell’Associazione culturale H2O+, che hanno dato vita a questo progetto sociale assieme a Michela Luise dopo aver vinto un bando nel settore welfare promosso dalla Fondazione Caritro, oltre al Comune che ha messo a disposizione un’area dismessa in via Parteli che copre una superficie di circa 8.000 m², sono coinvolti 13 partner tra associazioni e istituzioni del territorio, tra le quali la cooperativa sociale Amalia Guardini e l’associazione Ubalda Girella.L’intento delle realtà che partecipano al progetto non è solo quello di costruire uno spazio in città dove produttore e consumatori possono entrare in contatto diretto, ma anche creare percorsi educativi e formativi che già quest’anno hanno visto il coinvolgimento di circa 1.500 ragazzi delle scuole primarie e secondarie di Rovereto e della Vallagarina. Percorsi che mirano a costruire consapevolezza e conoscenza collettive rispetto all’utilizzo del suolo, all’importanza della biodiversità e in merito al tema dello spreco e della produzione locali.
Ma c’è un altro aspetto molto importante che riguarda l’area di via Parteli, dove è stato realizzato un grande gelseto (500 le piante messe a dimora), che rappresenta un ponte ideale tra passato e presente per sperimentare nuove forme di gelsibachicoltura attraverso una stretta collaborazione con Bio-Tech Università di Trento. L’intento, hanno detto i promotori, è quello di utilizzare la seta prodotta dall’allevamento dei bachi (sono 6 i kg di seta grezza già prodotta), per promuovere la ricerca in campo biomedico: avviata la collaborazione con centri italiani ed europei per studiare e valorizzare la proteina della seta con l’obiettivo di arrivare alla certificazione sull’applicabilità del prodotto seta in campo biomedico.
Parole di elogio all’iniziativa sono arrivate, oltre che dall’assessore provinciale Spinelli, che ha ribadito l’importanza di iniziative come queste legate alla terra e alle biotecnologie per le quali sono previsti investimenti a Rovereto, dal sindaco Francesco Valduga. Presenti anche gli assessori comunali Andrea Miniucchi, Micol Cossali e la dirigente Simonetta Festa, che ha parlato della “capacità di realizzare progetti di concretezza e di inclusione e di coesione per costruire il futuro della città”. Il presidente della Fondazione Caritro Carlo Schönsberg ha detto che si tratta di “un orgoglio per la Fondazione sostenere questo progetto”; Fabiano Lorandi dell’Associazione Ubalda Girella ha sottolineato l’importanza di “riscoprire la terra in tutti i sensi, un valore inestimabile per la società urbana che vive gran parte delle relazioni attraverso strumenti tecnologici”, mentre Guido Ghersini dell’Associazione Amalia Guardini ha detto che si tratta di “una grande occasione per i nostri ragazzi di essere protagonisti di un progetto di inclusione”.