E’ trasversale la protesta alle modalità con le quali il Governo mette fine ai bonus edilizi, in un NordEst che stava cercando la strada anche per sbloccare i crediti con Comuni e regioni in prima fila.
Vicenza, patto tradito
con imprese e cittadini
“Si cambia il destino di aziende, di lavoratori e famiglie, di nascosto, dal giorno alla notte. Una cosa che non vedevamo dal 1992 con la famigerata patrimoniale di Amato che ricordiamo ancora tutti. Questo atteggiamento è inammissibile, dannosissimo, uno schiaffo in primis alle persone che perderanno il lavoro, perché è di questo che stiamo parlando, e alle famiglie che vedranno depauperati risparmi, investimenti e il bene primario della propria casa”.
Non usa mezze parole Claudio Pozza, presidente della Sezione Costruttori Edili e Impianti di Confindustria Vicenza, riferendosi al decreto-legge pubblicato in Gazzetta Ufficiale nella notte del 16 febbraio 2023 – già in vigore – che vieta lo sconto in fattura e la cessione dei crediti per i bonus fiscali.
Una decisione molto dura nei confronti del comparto dell’edilizia adottata, peraltro, “senza individuare una soluzione in merito alla grave questione dei crediti fiscali incagliati presso le imprese che hanno applicato lo sconto in fattura ai propri clienti – ribadisce Pozza – e che, per effetto sempre di modifiche normative avvenute negli scorsi mesi ad opera del Governo, non riescono più a cedere detti crediti alle banche, risultando così a rischio fallimento”.
Le motivazioni adottate dal Governo per giustificare un simile intervento poggiano sulla necessità di mantenere i conti pubblici in ordine. “Forse – continua il presidente –, le risorse potevano essere individuate riallocando consistenti centri di spesa destinati ad altri provvedimenti adottati recentemente dal Governo, dalla dubbia utilità per la collettività, senza scardinare il sistema dei bonus edilizi con gli effetti positivi che gli stessi hanno prodotto in termini di efficienza green degli edifici e di gettito per l’erario (IVA, contributi INPS, IRPEF incassati dallo Stato per effetto dei maggiori lavori effettuati). Studi molto autorevoli hanno chiarito che il gettito fiscale che i bonus edilizi hanno prodotto a favore dello Stato vale, nel solo periodo gennaio–agosto 2022, 11 miliardi di euro, oltre agli effetti molto positivi sul PIL nazionale indotti dal settore delle costruzioni e certificati da ISTAT”.
Non viene considerata utile nemmeno la disciplina transitoria prevista dal Decreto: sono infatti esclusi dalla stretta gli interventi “Superbonus” per i quali è stata presentata la CILAS al 17 febbraio 2022 (per gli edifici unifamiliari) o, sempre alla data del 17 febbraio 2022 risulti adottatala delibera assembleare che ha approvato l’esecuzione dei lavori e risulti presentata la CILAS (per i condomini).
Inoltre, per le agevolazioni diverse dal “Superbonus” (es. “bonus casa” o “sisma bonus acquisti”), non rientrano nel divieto di cessione del credito o sconto in fattura gli interventi per i quali, al 17 febbraio 2022, risulti presentata la richiesta del titolo abilitativo o per gli interventi per i quali non è prevista la presentazione di un titolo abilitativo, siano già iniziati i lavori o, ancora, risulti regolarmente registrato il contratto preliminare oppure stipulato il contratto definitivo di compravendita dell’immobile nel caso di acquisto di unità immobiliari agevolate con le detrazioni.
“Il comparto dell’edilizia – spiega Pozza – si basa su programmazioni a lungo termine e, spesso, consistenti investimenti per i cantieri che sono effettuati ben prima della presentazione della CILA o della registrazione del contratto preliminare. Questa disciplina transitoria rischia di penalizzare le imprese che hanno fatto investimenti contando, in buonafede, sull’applicabilità dei meccanismi dello sconto in fattura o della cessione del credito a favore dei propri clienti, e che ora non possono procedere a concludere i progetti. Si tratta davvero di un tradimento del patto tra Stato e cittadini”.
Il decreto, infine, va controcorrente rispetto alla ormai ineluttabile tematica degli obblighi imposti dalla nuova Direttiva UE “Case Green”. Il giro di vite previsto dalla direttiva, in un così breve termine, impone ai contribuenti italiani costose ristrutturazioni per due immobili su tre, svalutando il valore degli immobili di classe energetica inferiore. Complessivamente, secondo autorevoli stime, la nuova normativa potrebbe comportare costi di riammodernamento per quasi 1.400 miliardi di euro da affrontare nell’arco di 7-10 anni. Una cifra notevole.
“Appare evidente che è necessaria una politica strutturale di incentivazione e l’adozione di rigorosi criteri di qualità per la corretta realizzazione degli interventi, ma questo nuovo provvedimento del Governo va esattamente in direzione contraria, bloccando il meccanismo dello sconto in fattura e della cessione del credito che premia solamente i ceti più abbienti che possono permettersi di anticipare le costose spese per gli interventi”, aggiunge Claudio Pozza.
In conclusione, in questo momento, le priorità individuate dalla Sezione Costruttori Edili e Impianti di Confindustria Vicenza sono: risolvere la questione dei crediti incagliati in capo alle imprese edili che rischia di far chiudere migliaia di imprese virtuose; modificare il provvedimento sul blocco della cessione dei crediti e dello sconto in fattura, quantomeno introducendo una disciplina transitoria più favorevole; introdurre una disciplina sugli incentivi edilizi, strutturale e di qualità, con regole certe, condivise e senza più sorprese per i contribuenti.
“Confidiamo che il Governo, nell’incontro previsto con le associazioni di categoria, voglia tempestivamente affrontare e risolvere tali importanti questioni e, nel breve termine, rimediare al grave errore commesso”, conclude Pozza.
Veneto, 1 miliardo
e 400 milioni incagliati
Ma quanto vale – o valeva – il superbonus?
“La notizia che trapela nelle ultime ore – afferma il presidente di Confartigianato Imprese Veneto Roberto Boschetto – ci lascia increduli. Vorrebbe dire creare ulteriori situazioni di crisi finanziaria per le imprese e un problema di carattere “sociale” per quei committenti che hanno basato la fattibilità dei lavori sulla possibile cessione del credito. Se tutto ciò fosse vero, ci troveremmo con il problema irrisolto dei crediti incagliati a cui si aggiungerebbe una ingestibilità dei cantieri in corso ed un netto ritorno al 2019 quando gli interventi sulle case venivano realizzati solo da chi aveva disponibilità economiche per farlo”.
“In questi ultimi giorni – prosegue -, abbiamo compreso come il possibile sblocco dei crediti fiscali incagliati dipenda anche dalla loro classificazione nel bilancio dello Stato. Non tanto dalla necessità di evitare le frodi, dunque. Infatti, in attesa che, ormai a giorni, si pronunci anche l’ISTAT su questa partita, intanto Mef ed Eurostat ci fanno capire come una nuova stagione come quella trascorsa, con aliquote altissime di detrazioni e compravendita libera dei crediti fiscali nascenti, è impensabile. Con ogni probabilità, si tradurrebbe in un aumento di debito pubblico. Di questo non possiamo che prenderne atto. Ma è anche vero – sottolinea – che per raggiungere gli obiettivi di transizione ecologica, non si potrà prescindere da percentuali di detrazione “accattivanti” almeno per gli interventi energetici e antisismici, per i quali concedere le cessioni a terzi. Non dimentichiamoci che la vera chiave di volta per la realizzazione di migliaia di interventi tra il 2021 ed il 2022, è stata proprio la possibilità di cessione del credito fiscale”.
I numeri: I numeri del 110% in Veneto sono straordinari e soprattutto tangibili. Basti pensare che solo negli ultimi tre mesi (novembre, dicembre e gennaio), il numero delle asseverazioni ha proseguito la sua crescita: + 6.396 pari a investimenti per 1 miliardo di euro.
“Purtroppo – prosegue il presidente – il rovescio della medaglia è la difficoltà sempre più accentuata da parte delle imprese di cedere i crediti acquisiti. Da una riparametrizzazione delle ultime stime nazionali, in Veneto potrebbero esserci 1 miliardo e 400 milioni di euro incagliati “in pancia” a migliaia di imprese che rischiano seriamente di chiudere per mancanza di liquidità”.
Enti pubblici al palo
È stata, di fatto, disattivata la norma quadro che regola le cessioni dei crediti (articolo 121, decreto Rilancio) e attuato il divieto di acquisto dei crediti da parte di enti pubblici. Esclusi da questa novità solo gli interventi già avviati.
La seconda linea del decreto-legge, portato in Consiglio dei ministri ieri pomeriggio e approvato dopo sole poche ore, introduce un divieto secco per Comuni, Province e Regioni e tutti gli enti che rientrano nel cosiddetto “perimetro della Pa” di acquistare crediti fiscali legati a lavori di ristrutturazione. Queste operazioni di acquisto, infatti, potrebbero essere contabilizzate come indebitamento, possibile solo in forme limitatissime.
«E’ già da mesi che lanciamo grida d’allarme sul problema dei crediti incagliati che mettono a rischi fallimento imprese e crea molti problemi alle famiglie – il commento lapidario della presidente di Ance nazionale, Federica Brancaccio, che interpreta la reazione delle imprese a fronte delle scelte di Governo. – Il decreto, il più veloce della storia, è l’ennesimo cambio in corsa di regole che blocca il futuro. Sapevamo che andavano riscritte le regole ma questa decisione impedisce alle Regioni a dare un aiuto alle imprese e alle famiglie che non riuscivano a monetizzare i crediti».
Le fa eco Carlo Trestini, vicepresidente nazionale Ance e presidente della sezione veronese: «E’ necessaria un’apertura di dialogo immediata altrimenti il rischio è che scoppi una bomba sociale ed economica. Serve, come invochiamo da tempo, una riforma strutturale e di lungo periodo del settore. L’emergenza è non far fallire le imprese, sono circa 20mila a rischio, un 7% circa in Veneto. Questo potrebbe significare disoccupazione e lavori lasciati a metà. Un boomerang sui privati, sui condomini, ma fondamentalmente ad essere minata è la fiducia tra il cittadino e lo Stato».
È stato convocato per lunedì l’incontro tra il Comitato di presidenza nazionale e il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, per interpretare in modo più consono le nuove direttive, risolvere il nodo dei crediti incagliati e portare il programma di un nuovo sistema di accompagnamento per rigenerare e ristrutturare il patrimonio. Necessaria, inoltre, una misura tempestiva che consenta immediatamente alle banche di ampliare la propria capacità di acquisto utilizzando una parte dei debiti fiscali raccolti con gli F24, compensandoli con i crediti da bonus edilizi ceduti dalle imprese e acquisiti dalle banche.
I costruttori
“Il Ministro Giorgetti ha parlato di un Superbonus scellerato e di una politica scellerata, ma penso che scellerate siano invece le scelte fatte”. Così il presidente di Ance Veneto, Paolo Ghiotti.
“I numeri sono estremamente gravi: solo nel Veneto, parliamo di circa 6,3 miliardi investiti, di 5mila imprese e operatori del sistema edilizio a forte rischio, con circa 500 milioni bloccati nei cassetti fiscali – afferma Ghiotti –. A fronte del blocco, con contratti che sono attualmente in corso, va proposta una soluzione immediata. Così stanno uccidendo chi ha creato il lavoro, chi produce ricchezza, chi ha fatto un terzo del PIL nazionale. Parliamo di numeri importantissimi”.
“Sulle teste delle nostre imprese ora sta cadendo la scure – continua il presidente di Ance Veneto –, proprio ora che si era trovata una quadra con Province, Regioni e Camere di Commercio, che avevano dato certezze al settore, non solo in Veneto, ma anche in Liguria, Toscana, Sardegna, Sicilia. Tutte regioni che avevano già dato avvio a questa opportunità per dare fiato alle attività, mentre ora si dice stop agli sconti in fattura e stop alla cessione del credito. Esiste solo l’opportunità di fare le detrazioni in proprio, ma se le imprese hanno il cassetto fiscale pieno e manca la liquidità e per ovvi motivi non possono più fare il 110. Se le nostre imprese non lavorano, come facciamo a defiscalizzare? Non si sta dicendo stop al 110, ma sta dicendo stop all’economia e a un volàno per la crescita”.
“Non è possibile che questi debiti stiano sulle spalle di chi stia creando ricchezza: è una questione di ignoranza e arroganza politica, che sta ricorrendo a dei sistemi che non possono essere accettati – conclude Ghiotti –. Esiste una misura nelle cose, diceva Orazio: noi, qui, l’abbiamo completamente persa”.