L’azienda dei tagliaerba è diventata la più flessibile d’Italia e ha inventato il part time verticale (su mesi e non su giorni)

Macchine tagliaerba e robottini per i giardini domestici si vendono nella stragrande maggioranza in primavera ed estate; la produzione si concentra nei mesi freddi. In questo periodo alla ex Castelgarden di Castelfranco Veneto (dal 2001 GPP, frutto della fusione di quattro aziende internazionali, oggi ha preso il nome del marchio Stiga) sono al lavoro circa 600 persone, arriveranno a 900 fra dicembre e marzo quando saliranno, oltre gli addetti, i giorni e le ore lavorate anche nei fine settimana. «La nostra stagionalità è totale, per gestirla abbiamo messo a punto una serie di strumenti di anno in anno – spiega Massimo Bottacin, direttore Risorse umane – Questo ci ha reso probabilmente l’azienda metalmeccanica più flessibile del Paese».

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Qui sono stati messi a punti i primi part time verticali su base mensile invece che giornaliera: si lavora sette mesi all’anno, e cinque a casa, con la possibilità per l’azienda di prolungare questo periodo. Le ore lavorate in esubero – si arriva anche a 51 a settimana- vengono pagate con maggiorazione, e finiscono in una banca ore che permette di allungare i periodi di ferie quando lo stabilimento è chiuso. La domanda non prevedibile obbliga a una certa dose di lavoratori con contratto a termine, «ma abbiamo stabilito una deroga per andare oltre il rinnovo dei 36 mesi. Questo non per alimentare precarietà, al contrario per dare ai lavoratori garanzia di poter essere richiamati con continuità, e dare all’azienda un bacino di personale esperto e formato». Per l’azienda significa una scelta di efficienza, per il lavoratore l’aspettativa concreta di un certo numero di mesi di lavoro ogni anno.

stigaFormule che si adattano bene a due tipologie di addetti – le donne con figli piccoli che nei mesi estivi non vanno a scuola, i lavoratori extracomunitari che d’estate possono rientrare nel proprio Paese o lavorare in altri contesti, primo fra tutti il turismo – molto presenti in azienda.

Come si arriva a innovare così radicalmente il modo di lavorare senza scontrarsi con chiusure e tensioni, come accade in altre aziende, pure dello stesso settore e della stessa provincia?«Il confronto con il sindacato è stato sempre intenso e franco – spiega il direttore Risorse umane -: sono nate così soluzioni determinanti per una azienda con una ciclicità della domanda così importante». L’azienda ha un fatturato di 500 milioni, il 93% della produzione va all’estero, e di questa la quasi totalità resta in Europa, dove la stagione è la stessa – primavera con il picco di domanda, inverno per la massima produzione – e condiziona il lavoro.

La ex Castelgarden è da sempre terreno di innovazione: è l’esempio che si cita ogni volta che si parla di forza lavoro multietnica, perfettamente integrata.

erbaOggi ci sono una quindicina di nazionalità (erano arrivate a quota 22). La maggior parte dei lavoratori è di origine extracomunitaria, assunta a metà degli anni Novanta, in quel periodo nel quale il Veneto aveva una disoccupazione quasi inesistente e di operai per le fabbriche non se ne trovavano molti. Qui è nata la prima “moschea aziendale”, uno spazio messo a disposizione dei lavoratori della numerosa comunità musulmana per la preghiera, evitando che questa si svolgesse senza regole e magari con qualche rischio per la sicurezza. E sempre qui la mensa ha iniziato a offrire piatti a prova di qualunque esigenza. In molte occasioni la presenza di diverse culture è stata usata per migliorare il lavoro su vari fronti, ad esempio la sicurezza, dando al soggetto più anziano delle diverse comunità un ruolo da “mediatore culturale” per trasmettere ai colleghi informazioni utili e messaggi.