Calano gli infortuni in agricoltura in tutto il Veneto, e soprattutto a Verona, che in cinque anni ha visto scendere il numero dai 1.218 del 2012 ai 1.061 del 2016, pari a 157 incidenti in meno. E i dati provvisori del 2017 confermano il trend, con un -13% rispetto al 2016 e il numero che scende per la prima volta sotto quota 1.000. Meno infortuni e meno gravi, e minore anche il numero dei morti, che in cinque anni è sceso da 8 a 3.
Lo svela la ricerca Infortuni e malattie professionali in agricoltura, presentata all’ultima edizione di Fieragricola da Agribi e curata dall’ufficio studi della Cgia di Mestre. Una ricerca voluta dall’ente bilaterale per l’agricoltura veronese, di cui fanno parte Confagricoltura, Coldiretti, Cia, Fai-Cisl, Flai- Cgil e Uila-Uil, per verificare l’andamento degli infortuni nell’ultimo quinquennio e capire quale incidenza stiano avendo le iniziative messe in campo dall’ente per la sicurezza: dagli incentivi per la formazione, alla promozione di misure per migliorare la sicurezza nei luoghi di lavoro.
Come risulta dai dati, la prevenzione sta facendo la sua parte perché dal 2012 al 2016 Verona ha segnato un -12,9% nel numero di infortuni nei campi, una performance migliore rispetto al dato complessivo scaligero che segna un 8,7% in meno. Nel raffronto con le altre province, in termini percentuali la migliore performance di riduzione degli infortuni agricoli nell’ultimo quinquennio si è avuta a Padova (-22,7%) e Vicenza (-22,6%), che precedono Venezia (-21,1%), Rovigo (-18,1%) e Treviso (-14,9%), ma il calo maggiore numerico è stato registrato a Verona, con -157 infortuni rispetto a -128 di Vicenza, -115 di Padova, -111 di Treviso, -70 di Venezia, -47 di Rovigo e -12 di Belluno. In rapporto al valore aggiunto prodotto, che è un terzo del Veneto con 970,9 milioni di euro su 2.886,6, l’agricoltura veronese presenta un livello di infortuni minore, con una frequenza di incidenti di 24,9 ogni 1.000 occupati contro i 28,8 del Veneto. Calano, di conseguenza, anche i giorni di indennizzo: quasi 2.000 in meno, pari a un -7,7%. A Verona si registra anche la percentuale più elevata di infortuni senza menomazioni: il 77,8% rispetto al 76,2% del Veneto e il 74,8% dell’Italia.
Scendendo nei dettagli, in provincia di Verona la discesa degli infortuni riguarda soprattutto le donne (-17%) rispetto agli uomini (-12,3%) e le età intermedie: -21,6% tra 35 e 44 anni e -18,6% tra 45 e 54 anni. Anche nel caso dei giovani si verifica una contrazione, ma meno significativa (-5,7%). Preoccupa invece la fascia over 65, dove il numero di infortuni è elevato e in tendenziale aumento (+10%). In crescita anche il dato riguardante gli stranieri, con un +1,1%. Nel 2016 i due terzi delle denunce hanno coinvolto cittadini di nazionalità romena (48), marocchina (42) e indiana (32). Gli infortuni avvengono perlopiù in itinere e con un mezzo di trasporto.
Se in territorio scaligero gli infortuni calano, aumentano invece le denunce di malattie professionali, con 82 casi in più dal 2012, pari a +94,3%., anche se inferiore al dato veneto (+140%). Nel 75% dei casi si tratta di malattie del sistema ostomuscolare e del tessuto connettivo, come le lesioni della spalla, le ernie e la sindrome del tunnel carpale. Le denunce provengono quasi esclusivamente da italiani, elemento che rafforza l’idea che chi lo fa sia spinto da una maggiore consapevolezza e cultura della sicurezza.
“Come segnalato dall’Inail, l’incremento di denunce non va interpretato come un peggioramento delle condizioni di sicurezza, ma come un’aspettativa di maggiore tutela assicurativa – spiega Luigi Bassani, presidente di Agribi -. Questo è da attribuire alla maggiore formazione che si compie negli ambienti di lavoro, che conduce a una consapevolezza sui danni e a non trascurare le patologie”.
Aggiunge Giuseppe Bozzini, vicepresidente di Agribi e rappresentante di Uila-Uil: “L’agricoltura veronese è un settore importantissimo sia per produzione di reddito, sia per occupazione. Noi abbiamo un grande obiettivo, la produzione di qualità, che si ottiene solo se c’è una qualità del lavoro”.
La metalmeccanica sciopera per la sicurezza
Tutt’altro clima per un altro settore chiave.
Con un’ora di sciopero in tutto il Veneto – ieri, lunedì 5 febbraio – insieme alla richiesta di un incontro a Federmeccanica regionale e la convocazione di un’assemblea dei delegati alla sicurezza (RLS), Fim Cisl, Fiom Cgil, Uilm Uil hanno aperto una partita vertenziale per tutelare la sicurezza sul lavoro nel settore metalmeccanico dopo l’incidente mortale, accaduto all’acciaieria Aso di Vallese (Verona), che – dicono – “ha riacceso i riflettori su quella che si presenta come una piaga senza fine del mondo del lavoro veneto”.
Dopo lo sciopero (che ha riguardato l’ultima ora lavorativain alcuni casi accompagnato da assemblee di fabbrica) si sono riunite le segreterie sindacali per decidere la data della riunione dei delegati alla sicurezza ed inviare a Federmeccanica la richiesta di una tavolo di confronto “per esaminare i dati sulle ore di formazione fatte, sulle politiche aziendali messe in atto in materia di prevenzione e per avere dei riscontri sulle procedure di assegnazione degli appalti, soprattutto nelle aziende siderurgiche”.
Denunciando un numero di infortuni in crescita (69mila a novembre 2017) in Veneto ed un numero inaccettabile di morti sul lavoro (87 nella sola regione in 11 mesi), i sindacati dei metalmeccanici rilevano come sia particolarmente esposto agli infortuni, soprattutto i più gravi, proprio il settore degli appalti, quello stesso cui apparteneva Maurizio Cossu, l’ultima vittima.
“Il contenimento dei costi specie quello del lavoro – scrivono Fim Fiom Uil – la riduzione del salario e dei diritti dei lavoratori a partire proprio dalla sicurezza, è sempre più spesso perseguito dalle imprese attraverso modelli aziendali che parcellizzano il ciclo produttivo, con le esternalizzazioni, con gli appalti e tante volte anche con il ricorso al sub appalto. Inoltre vi è sempre più spesso l’allungamento dell’orario di lavoro e l’intensificazione dei ritmi di lavoro, il tutto a scapito della sicurezza e dell’incolumità dei lavoratori. Una situazione inaccettabile che contrasta con la narrazione di imprese sempre più orientate, anche nella nostra regione, verso la digitalizzazione della produzione, con la sfida dell’innovazione tecnologica, con la cosiddetta industria 4.0”. Il lavoro – sostengono – “non può trasformarsi da fonte di vita a causa di morte e gli incidenti, tante volte invalidanti, non possono essere considerati una fatalità né, tanto meno, un costo sociale inevitabile alla ripresa economica e all’aumento del Pil”.