Il cosiddetto “Decreto dignità”, approvato dal Consiglio dei Ministri il 2 luglio 2018, interviene sulla regolazione del contratto a termine e del contratto di somministrazione.
Al fine di consentirne una valutazione sulla platea interessata, le modifiche attualmente all’esame del Parlamento possono essere così schematizzate:
- viene reintrodotto per le imprese l’obbligo di dichiarare la causale a partire dal tredicesimo mese di utilizzazione del lavoratore; tale obbligo vale anche per le agenzie di somministrazione;
- la durata massima dei contratti di lavoro – contando anche i rinnovi a qualsiasi distanza di tempo – viene limitata a 24 mesi anziché a 36 mesi; anche tale norma viene estesa alle agenzie di somministrazione;
- all’interno del medesimo contratto a termine il numero massimo di proroghe ammissibili scende a 4 (anziché 5); per i contratti di somministrazione si scende a 5 (anziché 6);
- il contributo addizionale aumenta di 0,5 punti percentuali in occasione di ciascun rinnovo; tale incremento vale anche per i contratti di somministrazione.
Da tutte queste modifiche sono esclusi Pubblica Amministrazione, operai del settore agricolo e altre categorie di minor rilevanza numerica (dirigenti, personale delle Fondazioni musicali etc.). Quanto al lavoro stagionale secondo i commentatori più autorevoli permane l’esclusione dai limiti numerici, in particolare da quelli relativi alla durata massima.
Quali saranno gli effetti del ‘decreto dignità’ in Veneto se entrerà in vigore nella formulazione approvata il 2 luglio scorso dal Consiglio dei ministri e prossima all’approdo in Parlamento? A questa domanda risponde il report dell’Osservatorio di Veneto Lavoro, l’ente strumentale della Regione Veneto per le politiche sul lavoro, che ha proiettato le novità legislative e contrattuali sulla situazione attuale del mercato del lavoro veneto.
Le principali modifiche previste dal decreto riguardano la riduzione della durata massima del contratto a tempo determinato (anche in somministrazione) da 36 a 24 mesi, l’obbligo di dichiarare la causale al superamento dei 12 mesi, la diminuzione del numero di proroghe possibili da 5 a 4 (da 6 a 5 per i contratti di somministrazione) e un aumento del costo contributivo dello 0,5% ad ogni rinnovo.
Secondo i ricercatori di Veneto Lavoro, se il decreto dignità oggi fosse legge, riguarderebbe circa 80mila rapporti di lavoro, su un totale di 617mila rapporti a tempo determinato e di somministrazione attivi nel 2017. La stima di 80mila è ottenuta proiettando le novità legislative sulla platea dei 617mila potenziali destinatari (contratti a termine e contratti di somministrazione), depurata dal numero dei contratti di durata inferiore ad un anno in quanto non interessati, degli stagionali, degli operai agricoli e dei rapporti di lavoro nella pubblica amministrazione (esclusi dalle novità del decreto), della quota di rapporti di lavoro di durata superiore ai 24 mesi che – se il decreto fosse già legge – non sarebbero stati sottoscritti e dei rapporti che nel 2017 sono stati trasformati in tempi indeterminati.
A conti fatti – calcola Veneto Lavoro – il decreto dignità avrebbe effetti diretti su circa il 26% del lavoro a termine presente in Veneto nel 2017. Il decreto non influirebbe invece sul 74% del lavoro a tempo determinato o in somministrazione registrato in Veneto, in quanto trattasi di contratti di durata inferiore a un anno, o che riguardano operai agricoli o la pubblica amministrazione, o relativi al lavoro stagionale, per ora escluso dalle modifiche introdotte dal governo.
I possibili sviluppi futuri
Il report di Veneto Lavoro cerca di delineare quali potrebbero essere le risposte delle imprese ai cambiamenti normativi previsti. Le ipotesi più probabili sono un aumento del turnover dei lavoratori per la stessa posizione, oppure una riduzione del lavoro a termine, senza però poter prevedere se questa si tradurrà in un trasferimento verso altre tipologie contrattuali o in una pura diminuzione dei livelli occupazionali.
Gli scenari possibili tracciati dai ricercatori di Veneto Lavoro sono quattro, legati ai possibili orientamenti dell’azienda:
- nessun cambiamento per contratti inferiori ai 24 mesi, se il costo aggiuntivo previsto in caso di rinnovo (su una retribuzione lorda mensile di 1.800 euro sarebbe pari a 9 euro) e l’obbligo di causale non fossero considerati un ostacolo dalle imprese;
- un maggiore turnover dei lavoratori, qualora le imprese intendessero aggirare i vincoli imposti dal decreto per rapporti di durata superiore ai 12 mesi. In questo caso potrebbero, soprattutto per impieghi poco qualificati e per i quali si registra un’abbondante offerta di lavoro, assumere due (o più) lavoratori nell’arco dei 24 mesi, anziché protrarre il rapporto con lo stesso lavoratore fino ai due anni;
- uno spostamento verso altre forme contrattuali, quali apprendistato, lavoro autonomo, tempo indeterminato, senza poter determinare se si andrebbe verso una maggiore precarietà o, al contrario, verso lavori più stabili;
- una riorganizzazione più estesa della filiera produttiva esternalizzando le necessità di flessibilità, o intensificando l’impiego di forza lavoro aziendale.
“Il decreto dignità è come una medaglia a due facce – commenta l’assessore regionale al lavoro, Elena Donazzan – Il Veneto monitorerà passo passo l’impatto di un provvedimento che, se entrerà in vigore nella formulazione attuale, comporterà una significativa modifica del mercato del lavoro”.
“Le ricadute del provvedimento ‘dignità’, che allo stato attuale un quarto dei contratti di lavoro a tempo determinato in essere nella nostra regione, potrebbero essere diametralmente opposte – sottolinea l’assessore – Se l’impatto fosse quello auspicato dal governo, ci troveremmo di fronte a maggior apprendistato o alla preferenza, da parte delle aziende, di contratti a tempo indeterminato e quindi più stabili; se così fosse, aumenterebbe la forza lavoro interna all’azienda. Ma se gli esiti fossero quelli preconizzati dal mondo imprenditoriale – prosegue l’assessore – la riduzione del tempo massimo (da 36 a 24 mesi) per un contratto a tempo determinato, potrebbe produrre un turnover spinto, maggiore esternalizzazione di comodo (attraverso cooperative o società altre) e quindi maggiore precarietà. In particolare, per i lavori a bassa qualifica, uno scenario di questo tipo significherebbe un’alta rotazione di personale, aggravando così la condizione di grande fragilità di questo segmento occupazionale”.
“Ecco perché – conclude l’assessore – la Regione Veneto, e in particolare il mio assessorato con i suoi osservatori, sarà in prima fila nel misurare effetti e ricadute delle nuove regole su contratti a termine e contratti di somministrazione”.
Qui c’è l’analisi completa di Veneto Lavoro.
Gli industriali vicentini scrivono ai parlamentari
Intanto, a seguito dell’approvazione in Consiglio dei Ministri del cosiddetto “Decreto dignità”, il presidente degli Industriali vicentini Luciano Vescovi ha scritto ai senatori e agli onorevoli della provincia di Vicenza che dovranno convertire il decreto in Parlamento dove ci sarà la possibilità, ed è questo l’auspicio e la richiesta del presidente, di apportare importanti modifiche.
“Da tempo le nostre rilevazioni congiunturali rilevano che le aziende vicentine e venete stanno consolidando un importante trend di crescita, soprattutto sul fronte dell’export”, scrive Vescovi. “Lo stile di questo decreto – continua – sembra reintrodurre una logica neo-dirigista basata sulla convinzione che a creare il lavoro non siano le imprese, ma le leggi e le regole. Una logica anacronistica che speravamo finalmente superata. Perché non può essere un decreto d’urgenza ad affrontare e risolvere temi e questioni che richiedono riflessione, confronto e disponibilità all’ascolto. Il risultato delle nuove norme, qualora non venissero riviste, non sarà quello di contrastare la precarietà (l’incidenza dei contratti a termine sul totale degli occupati, in Italia, è in linea con la media europea), ma quello di contrastare il lavoro. Non sarà tanto la Waterloo del precariato, come il decreto è stato definito, quanto la Caporetto del lavoro. Le aziende vedranno colpita la loro capacità competitiva, trovandosi sulla strada nuovi ostacoli proprio nel momento in cui la congiuntura sembra meno favorevole ed è quindi necessario accelerare in investimenti, innovazione, internazionalizzazione ed anche occupazione”.
Oltre agli aspetti più marcatamente giuslavoristici, Vescovi fa riferimento anche al contesto economico globale: “È pienamente condivisibile la volontà di colpire determinate situazioni che favoriscono la delocalizzazione, purché si agisca specificamente in questa direzione e non si torni a confondere delocalizzazione ed internazionalizzazione, penalizzando tutto il vasto mondo delle imprese che, specie nel nostro territorio, da decenni sono campioni dell’export e danno un contributo determinante alla crescita del nostro Paese. Le aziende vicentine sopravvissute alla crisi gravissima del 2009-2010 sono rimaste in Italia e in questi anni hanno investito moltissimo in innovazione e formazione, conoscendo oggi una nuova stagione di successi. Questo modello funziona perché in Veneto i nostri imprenditori sono profondamente legati ai propri collaboratori ed il contesto territoriale si è sempre dimostrato favorevole all’impresa ed alla libera iniziativa. Per rimanere competitive, proiettate all’export e di conseguenza per creare lavoro, le imprese hanno bisogno di tutto tranne che di un clima politico che le consideri con diffidenza”.
Il presidente di Confindustria Vicenza cita, infine, alcune righe giunte da un collega imprenditore: “Tra i messaggi che ho ricevuto in questi giorni da colleghi associati – scrive Vescovi -, ne sottolineo uno che mi sembra riassuma efficacemente il clima di disappunto che si respira tra gli imprenditori: ‘Sembra che si debba essere oggetto di nuove punizioni atte a identificarci come illegali, disonesti, criminali nella nostra azione quotidiana. Sembra sia meglio darci nuove restrizioni anziché aiutarci a liberare il nostro spirito produttivo e costruttivo. Questo non migliora e stimola la nostra azione, ma la ridimensiona. Vogliono stancarci, non motivarci’. Sono convinto da sempre – aggiunge – che una forte motivazione sia fondamentale in chiunque, per poter ottenere risultati positivi. In qualsiasi campo, ma in special modo per chi fa impresa”.
“Per questo – conclude con un appello – mi permetto di chiedervi di dare ascolto alle parole di questo imprenditore, che rappresenta la voce genuina delle nostre imprese, di valutare appieno la reale portata negativa del decreto e di sostenere, nella sua azione parlamentare, la necessità di una diversa linea di politica economica, che parta dal presupposto che colpire le imprese significa colpire il Paese”.
Rischio boomerang per lavoratori e imprese
Nei giorni scorsi sul decreto dignità si era espressa anche la nuova Assindustria VenetoCentro (nata dalla fusone fra Padova e Treviso).
«Al nuovo Governo abbiamo offerto un’apertura di credito, ma con altrettanta chiarezza diciamo che l’approccio del cosiddetto “Decreto dignità”, con la stretta sui contratti a tempo determinato e la reintroduzione delle causali, rischia di essere un boomerang per i lavoratori e per le imprese. Il rischio è quello di azzerare una tendenza virtuosa che solo in Veneto ha visto nel primo trimestre 2018 un saldo positivo di 53.200 posti di lavoro e la crescita delle assunzioni a tempo indeterminato (29.500, +26%), specie per via delle trasformazioni da tempo determinato. L’ennesima conferma che lo sviluppo e il lavoro non si creano per decreto e tantomeno con rigidità ideologiche, ma investendo sulla produttività e la competitività delle imprese e del Paese. L’approccio “punitivo” che emerge dal decreto vede negli imprenditori dei potenziali approfittatori in malafede. È una visione pregiudiziale che respingiamo e che non coglie la complessità delle dinamiche più avanzate del lavoro e rischia di sortire l’effetto opposto a quello desiderato diminuendo l’occupazione. Invitiamo dunque tutti i Parlamentari veneti ad intervenire, in sede di conversione del decreto, per apportare i necessari correttivi ad un provvedimento che consideriamo, nei contenuti legati alla legislazione sul lavoro, profondamente sbagliato e dannoso per l’occupazione, in particolare dei più giovani». Così Massimo Finco, presidente di Assindustria Venetocentro Imprenditori Padova Treviso interviene sul cosiddetto Decreto dignità approvato dal Consiglio dei ministri.
«La ‘dignità’ di cui il decreto si fa impropriamente portavoce – prosegue Maria Cristina Piovesana, residente Vicario di Assindustria Venetocentro – punta a cancellare un percorso riformista, quello di Marco Biagi, di Tiziano Treu, di Maurizio Sacconi per citare solo alcuni, che ha portato a valorizzare e regolamentare tutte le forme di lavoro, anche temporanee, che prima cadevano invece nel lavoro nero, quello sì indegno e precario».
«La lotta alla precarietà del lavoro – secondo Assindustria Venetocentro – è una cosa seria, che deve sanzionare duramente i comportamenti illeciti ma non può colpire l’obiettivo sbagliato, andando a bloccare chi opera nella legalità. Il contratto a termine e quello di somministrazione garantiscono tutte le tutele previste per il lavoro subordinato e rappresentano quel ‘ponte’ che serve per portare dentro il mondo del lavoro soprattutto i giovani e chi il lavoro l’ha perso. E in Italia gli occupati a tempo determinato sono molti meno rispetto ad altri Paesi avanzati dell’Europa: da noi il 15,4% mentre in Francia e Svezia sono il 16,9% e nei Paesi bassi il 21,8%. Tutti Paesi ad alto tasso di occupazione, molto superiore a quello italiano. È un lavoro ‘degno’, crediamo, già da adesso e che ha dato opportunità a migliaia di persone».
«Il lavoro sta assumendo dimensioni inedite tra digitalizzazione e un’organizzazione dei tempi e degli spazi sempre più fluida. Occorre uno sguardo, politico e legislativo, all’altezza di queste trasformazioni, che convivono nel nostro Paese anche con situazioni di degrado e sfruttamento. Non è un impegno semplice, che si possa ridurre a slogan o a post. Ma è l’unica strada percorribile per mantenere e rafforzare quella dignità, nel cui nome si intitola il provvedimento, che è il primo valore del lavoro e di chi lavora e di chi offre lavoro. L’occupazione si crea invece nel dare opportunità e flessibilità che consentano di cogliere, in modo regolare, tutte le occasioni di lavoro, e dando certezza e stabilità del quadro normativo, togliendo oneri e burocrazia che con il lavoro c’entrano poco».