“Complimenti per la promozione”.
Se lo dici a una vedova, può capitare che ti risponda che non sa se le è convenuto. Perché una legge del 1992 stabilisce il cumulo fra la pensione di reversibilità del marito e lo stipendio di chi lavora, così a molte conviene restare part time, “cioè l’ultimo anello della catena, il più debole”, spiega Manola Tegon, funzionaria del settore ICT e Agenda Digitale della Regione Veneto (al centro nella foto).
Una delle tre donne che – poco più di due anni fa – riuscì a portare in Parlamento un emendamento per diminuire l’ingiustizia fiscale per le famiglie “orfane”.
L’emendamento che riduce l’ingiustizia fiscale per i figli rimasti orfani
Grazie a quella battaglia è stata alzata la soglia fiscale secondo la quale i bambini orfani vengono considerati percettori di reddito, e dunque perdono alcuni benefici ed esenzioni. In sostanza, la pensione di reversibilità viene suddivisa per il 60% alla madre e, nel caso di Manola, essendo due, per il 40% ai figli (se il figlio invece è uno solo, riceve il 20% della pensione e la madre sempre il 60%, con una ulteriore penalizzazione, perché riceve al massimo l’80% della pensione). Ciò significa che i minori orfani diventano per il fisco percettori di reddito, e se tale reddito supera la soglia fissata per legge di 2.840 euro, non possono più essere considerati a carico del genitore superstite, il quale perde così esenzioni e benefici. Se poi un figlio è disabile, e avrebbe diritto al doppio delle esenzioni, il danno creato è ancora più grande, decadendo ogni diritto a usufruire delle agevolazioni previste. Ora – scegliendo la via più praticabile e meno costosa per le casse dello Stato – con la legge di Bilancio 2017 è stata introdotta una franchigia di mille euro per i redditi degli orfani minori, permettendo così a numerose famiglie vedove di vedere nuovamente i propri figli a carico. Non per tutte, ma almeno un inizio.
Era novembre 2016: da allora la rete è cresciuta, e una chat su whatsapp mette in contatto persone che abitano distanti, ma hanno vissuto lo stesso lutto e oggi condividono le stesse difficoltà. “Ci scambiamo consigli, informazioni, a volte ne esce qualche sacrosanto sfogo”.
Quella battaglia ha portato un beneficio, ma solo entro un certo limite di reddito, e ci sono ancora molte difficoltà.
Maria, campana, si chiede “perchè a un ragazzo orfano di padre che oggi ha 24 anni sia stata sospesa la pensione di reversibilità del papà solo perchè è fuori corso all’università. Un ragazzo che deve pensare anche a come andare avanti nella vita cercando di portare avanti il suo sogno e quello di suo padre, diventare Ingegnere Informatico. Io, madre, non ero sposata con suo padre, quindi non mi è stato riconosciuto nulla, e non avendo un lavoro fisso cerchiamo di aiutarci a vicenda, per questo mio figlio non è riuscito ad essere in corso con gli anni di studio”
In effetti accade questo: “Se vuoi fare studiare un figlio – spiega Manola -, la pensione di reversibilità gli è riconosciuta fino ai 26 anni, ma deve essere in regola con gli esami. E ogni anno comunque te la sospendono se non documenti con l’università la sua posizione”.
E poi ci sono gli “incidenti”: come quello che ha portato in dicembre l’Inps a interrompere la reversibilità per gli orfani del settore telecomunicazioni.
Quante sono le ingiustizie
a carico delle famiglie orfane?
“La materia è tecnica, quindi ostile ai più, ma soprattutto non la conosce nessuno salvo chi la subisce, come noi – spiega Sabrina Sagace, giurista palermitana (nella foto) – Io sono orfana di padre da quando avevo 20 anni e all’epoca avevo un fratello minore, quindi le ingiustizie normative le conosco molto bene”. E le sa spiegare.
La legge 335/1995 (Lg. Dini) regola tutta la materia delle pensioni di reversibilità. Va specificato però, che le pensioni che vanno a vedove e orfani di morti precoci si chiamano pensioni indirette, perché il de cuius è morto in servizio, quindi prima di aver raggiunto l’ età pensionabile.
La legge 335/95 stabilisce che la pensione indiretta viene calcolata in proporzione ai contributi versati in vita dal de cuius, minimo 16 anni, altrimenti non spetta niente a nessuno. Quindi ciò che si è versato nelle casse dell’erario (e in questo senso non c’è assistenzialismo, precisa Sabrina Sagace), va nella percentuale del 60% a vedovo/a, il 20% a ogni figlio minore o che studia fino al raggiungimento dei 26 anni se non fuori corso. E chiaramente il figlio non deve percepire redditi di lavoro dipendente. “Ecco perché è grave che l’Inps sbagli e faccia decadere, anche se per errore, la reversibilità agli orfani. Le famiglie vedove hanno evidente bisogno di soldi, figuriamoci se possono subire errori altrui di tale gravità”.
Da qui emergono delle prime considerazioni; le morti precoci in Italia – dati Istat – sono 560mila, mentre la totalità di vedovi in italia è di 4.488.054. “Numeri enormi di persone che non vengono considerate dallo Stato”, commenta Sagace. “Se il coniuge superstite lavora, l’assegno già ridotto del 40% viene ulteriormente decurtato a prescindere dei lauti contributi versati dal de cuius: un taglio del 25%, del 40% e del 50% secondo parametri obsoleti e decontestualizzati stabiliti dalla Tabella F della suddetta lg Dini art.1 comma 41. Tabella che invito a leggere perché ha parametri veramente ingiusti. Questa legge, emanata nel 1995 e mai novellata, ha creato delle aberrazioni normative proprio perché nella sua applicazione nessuno ha vigilato sull’impatto che avrebbe avuto nel sistema fiscale e previdenziale”, prosegue Sabrina Sagace.
La vedova si vede privata di tutele che le famiglie con entrambi i genitori invece hanno. “Ad esempio, se ci sono figli a carico, per i vedovi non sono tali nella dichiarazione perché gli orfani diventano – anche se minori – titolari di reddito. E se quegli orfani sono affetti da patologie? Peggio ancora. Decadono tutte le esenzioni che gli spettano e le agevolazioni fiscali dei genitori. Paradossi normativi a discapito dei più deboli”. Ancora: “I vedovi pagano le tasse sul loro reddito, quelle della pensione indiretta e sul cumulo, quando la Corte Costituzionale (Sent. n.179/1976) stabilisce che i redditi dei coniugi non devono essere soggetti a cumulo in quanto illegittimo, quindi la famiglie che subiscono un lutto, sono trattate come una non famiglia”.
Sono 5 milioni i vedovi e vedove in Italia; qui parliamo delle donne, perché in molti casi, quando manca un marito, la famiglia resta sulle spalle di chi magari si era dedicata ai figli, o aveva il lavoro meno redditizio. E magari scopre che è condannata a restare part time, o a non investire troppo sul lavoro, perché il meccanismo fiscale potrebbe anche ridurre le risorse destinate alla famiglia se lo stipendio cresce. “Se poi sei donna e part time, sappiamo bene che sei l’ultima a essere considerata sul lavoro”, osserva Manola.
Ma c’è un’altra battaglia da affrontare: chiamiamola culturale, civile, come volete. Si tratta di togliere uno stigma a una parola che contiene grande dolore.
Ci prova Manola, a superare quello che per molti è un tabù, e a chiamare le cose con il proprio nome.
“Mi avevano detto che per superare un lutto ci sarebbero voluti 5 anni. Mi sembravano un’eternità, pensavo che sarei stata condannata ad un incubo per il resto della mia vita. E invece i 5 anni son passati più veloci di quanto pensassi. Col senno di poi l’incubo si è trasformato semplicemente in vita da vivere, la mia costanza nel concentrarmi in ciò che di bello la vita aveva ancora da offrirmi mi ha aiutato a distrarmi dal dolore, anche se dal dolore non ci si distrae mai…ci si illude di farlo…ma alle volte funziona uguale. Per darsi il tempo di diventare più forti. Sopravvivere a chi si è amato profondamente è una delle sfide più dure che una persona si trova a dover affrontare. Penso che in fondo, la morte non esiste, è solo una trasformazione, un nuovo modo di essere e divenire, per chi se ne va, e per chi resta”.