Prima erano le musicassette, poi i cd, per non parlare dei libri. Quello che accadeva con duplicatori di audio e videocassette e masterizzatori, oggi potrebbe accadere con le stampanti 3D, veri “replicatori tridimensionali”. Non ci sono ancora esempi di cause legali, almeno non in Italia, «ma è probabilmente solo questione di tempo», spiega Giovanni Casucci, avvocato, esperto per le questioni di contenzioso in materia di proprietà industriale e docente al MIP del Politecnico di Milano. Oggi, alla Camera di commercio di Verona, terrà uno dei primi seminari organizzati sull’argomento, a beneficio di imprenditori, responsabili commerciali, web manager, marketing e ricerca e sviluppo, dirigenti d’azienda, legali, commercialisti, consulenti in proprietà industriale.
«La stampante 3d è un’invenzione che potrebbe avere la portata rivoluzionaria della musica o della fotografia digitale. Un’innovazione – commenta il presidente della Camera di Commercio di Verona, Giuseppe Riello – che consente risparmi nei tempi e nei costi di produzione soprattutto per le Pmi, penso ai processi di prototipazione, e offre opportunità di business dalle potenzialità ancora inesplorate. È possibile che la diffusione delle stampanti 3D al pubblico arrivi anche a cambiare i modelli di consumo: ora è possibile trovare in internet i file 3D pronti per la stampa. L’utilizzo “casalingo” delle stampanti 3D è lecito, al massimo con il pagamento di un diritto di copia. Quello “industriale”, invece, implica evidentemente una violazione di un diritto altrui se non debitamente autorizzato dal titolare. Come sempre accade, norme e controlli si adegueranno all’evoluzione del mercato. Certo occorre “stare sempre sul pezzo”, in modo da poter adottare soluzioni anti-contraffazione che non vadano ad ostacolare lo sviluppo del settore. Non a caso, nel seminario organizzato dall’Ufficio Marchi e Brevetti si affronta l’argomento proponendo alcune linee guida di gestione “anti-contraffazione”.
Dal punto di vista normativo – spiega Casucci – si arriverà a imporre anche in questo caso il “contributo di copia privata”, ricaricato sul prezzo di vendita di ciascuna stampante, «ma questo non risolve il problema delle violazioni. Quando cioè non si parla di una riproduzione singola per uso privato, ma della tentazione di stampare e mettere in commercio copie su copie di un oggetto – e oggi ci sono gioielli, lampade, oggetti di arredo e altro ancora – che qualcun altro ha disegnato e progettato».
Che fare?
- Se siete una azienda che vuole difendersi dalle imitazioni, tenete gli occhi aperti: serve un monitoraggio attento del mercato, per vedere se sui vari siti di e-commerce si trovano copie offerte in vendita. È la tecnica usata quando, negli anni scorsi, venivano venduti online i “dongle”, chiavette che consentivano di disattivare il sistema di sicurezza delle Playstation per renderle capaci di leggere ogni tipo di cd. In quel caso conveniva fingersi clienti, capire in che modo veniva pagato l’acquisto (carta di credito, ad esempio), tracciare con l’aiuto della Polizia Postale le somme per identificare i soggetti da denunciare.
- Sempre se siete un’azienda che gioca in difesa, proteggetevi a monte: oggi registrare un modello è l’unico modo per impedirne legalmente la riproducibilità. «Una registrazione comunitaria – sottolinea Casucci – oggi costa poche centinaia di euro, a portata di imprese ma anche di startup, anzi ancor più consigliata a queste ultime, per le quali il prodotto giusto (talvolta l’unico) rappresenta la principale fonte di business futuro».
- I file di progetto dovrebbero essere protetti da sistemi anti duplicazione come quelli usati per cd e dvd: costano un po’ di più, sottolinea il legale, ma consentono di mettere un vincolo alla non riproducibilità.
- Stampare un oggetto in 3D implica di avere il file di progetto, oppure di scannerizzarlo in proprio. Nel primo caso, se siete tentati di riprodurre un bell’oggetto in più della singola copia consentita, accertatevi che l’accesso al progetto sia lecito (perché caduto in pubblico dominio a seguito della scadenza di un registrazione o di un brevetto), e che non sia conseguenza di una violazione: altrimenti è come usare sul proprio sito una foto trovata (a magari pagata) via internet, salvo poi scoprire che i diritti erano di qualcuno altro che può rivendicarli in ogni momento. Se si usa lo scanner 3D, invece non serve nemmeno avere il file di progetto, e questo apre problemi diversi.
- Come si può tracciare il soggetto responsabile di una violazione su scala commerciale e quantificare poi il danno da mancata vendita per le aziende produttrici? Una via di uscita potrebbe essere la tracciabilità fin dalla vendita dei macchinari e la loro installazione: se ad esempio si documentasse che lo stesso indirizzo IP (Indirizzo Internet Protocol) conduce a più macchine in linea, allora si potrebbe supporre che qualcuno abbia simulato l’acquisto di macchine per uso privato, per poi impiegarle in una produzione più massiccia. Tracciare stampanti 3D, scanner 3D e file di modellazione, conclude Casucci, è attualmente la possibile soluzione a un numero di violazioni potenzialmente ogni giorno più ampio.
Riferimenti utili: legge 633/1941 sul diritto d’autore e Codice della Proprietà Industriale