L’azienda fondata da mamma e papà – Ester e Guido Baldi – negli anni Ottanta è cresciuta: prima gli articoli di cartoleria e i creativi biglietti di auguri, poi le confezioni per gioielli e bigiotteria. Oggi la Cafiero è una azienda internazionale di seconda generazione che dopo aver conquistato il settore navale (collaborando con Costa Crociere, Grimaldi Lines e Moby Lines) lavora con colossi della moda come Dior, Chopard e Lalique.
Aldo Cafiero è entrato in azienda negli anni Novanta, a 28 anni, dopo avere seguito un percorso di studi del tutto differente, in medicina e chirurgia. «Nel mio Dna ci sono la creatività e l’impresa», racconta, ricordando come in famiglia si parlasse del talento di quel nonno che, nel dopoguerra, aveva avviato una prima attività di commercio e di pesca, con le imbarcazioni che tiravano su di tutto oltre ai pesci, bombe e pezzi di aereo perlopiù.
La svolta è arrivata con i brevetti indovinati di confezioni per l’occhialeria, settore trainante dell’economia bellunese. Un nuovo sistema di chiusura che ha attirato le attenzioni – e le commesse – dei grandi marchi. Nella sede, un ex cascinale a pochi chilometri da Belluno – racconta Cafiero – arrivavano, non senza mostrare un certo stupore, i “grandi” della moda e degli accessori; nel 2000 il trasferimento in un nuovo capannone, avveniristico, dove oggi lavorano oltre 40 persone: fra loro un nucleo di esperti di design e “smanettoni” capaci di creare con la stampa a tre dimensioni e la prototipazione rapida. Il 97% dei dipendenti sono donne, in una azienda che investe in ricerca ogni anno il 3% del fatturato e che segue regole tutte sue, a cominciare dalla mancanza del cartellini da timbrare.
Quando è arrivato il periodo della concorrenza spietata dei Paesi a basso costo del lavoro, e di un cambio poco favorevole, «abbiamo dovuto pensare a spostare parte della produzione dove potevamo garantirci maggiore competitività», spiega l’imprenditore. Che è partito per esplorare la Cina e le sue regioni: «Sono stato settimane lì, a incontrare i politici e individuare il posto esatto. L’ho trovato a Heyuan, nel Guand Dong, 200 chilometri all’interno, dove si concentrerà la manifattura».
Qui, nel 2008, è nato un progetto al 100% di capitale italiano: «Ho trovato ampio supporto da parte delle autorità locali, sia per le fasi della costruzione che per la ricerca del personale. Oggi qui lavorano circa 300 addetti, guidati da un management italiano stabile sul territorio, e da uno staff di dirigenti cinesi cresciuti insieme a noi, validissimi».
La produzione è di 30mila pezzi al giorno, nella fascia dove occorre contenere i costi garantendo la qualità: le lavorazioni di pelletteria e i pezzi pregiati, 10mila al giorno, restano in Italia. Nella fabbrica cinese anche le regole sono italiane: i dipendenti godono di assicurazioni anti-infortunio, e ricevono anche la tredicesima. Il risultato? Un altissimo tasso di fidelizzazione e un turnover bassissimo, contrariamente alla media nel Paese. Allo studio c’è la costruzione di alloggi e dormitori sul retro della parte produttiva, e non mancano le gite aziendali “per fare gruppo”, racconta Cafiero.
Ovunque vengano realizzati, i prodotti subiscono lo stesso sistema di controlli, le schede tecniche sono le stesse. Il 2015 si apre all’insegna di un nuovo progetto: riguarda la pelletteria e – i dettagli sono ancora top secret – un accessorio moda. L’idea è piaciuta a mamma Ester, oggi 86 anni, diventata imprenditrice quando i figli hanno cominciato a diventare grandi e ancora oggi presente almeno una volta alla settimana in azienda, scortata dal figlio o da qualche impiegato: «E allora, qui come va?».