Spesso innovazione e tradizione vengono considerate in antitesi: al contrario, possono convivere, e c’è un ambiente privilegiato per osservarle agire entrambe. Sono le aziende familiari: alla Libera università di Bolzano due nuovi corsi in preparazione (partiranno a marzo), con un programma inedito nel panorama della formazione italiana, studieranno a fondo i family business, molto presenti in Trentino Alto Adige (Salewa, Thun, Loacker) e a Nordest.
Il docente che sta lavorando alla programmazione, Alfredo De Massis, è rientrato in Italia dopo avere insegnato questa stessa materia alla Lancaster University dove ha sviluppato e diretto uno dei più importanti centri al mondo sul family business. A 38 anni è il più giovane ordinario d’Italia e specialista dell’economia e gestione delle imprese familiari.
“L’obiettivo – spiega – è creare un centro di ricerca sul family business unico in Europa, e per questo, oltre la parte teorica, coinvolgeremo le stesse aziende, la classe politica e il territorio”.
Fra gli studenti, prevedibilmente, ci saranno sia i futuri manager chiamati a inserirsi in realtà che si tramandano per generazioni, sia i discendenti dei fondatori, che devono gestire l’azienda in un contesto completamente diverso da quello in cui era nata. Una platea decisamente ampia, “se si pensa che più dell’80% delle imprese, e non parlo solo delle medie e piccole, ha alle spalle una famiglia. Fra i gruppi quotati la percentuale è di circa il 50%”, spiega De Massis.
Non senza difficoltà: solo il 30% delle aziende sopravvive nel passaggio dalla prima alla seconda generazione, il 12% dalla seconda alla terza, il 4% dalla terza alla quarta. Con una drammatica perdita di valore sempre presente quando un’impresa scompare”.
Ben vengano quindi gli incentivi alle startup, “ma senza dimenticare il sostegno ai passaggi generazionali, ai quali spesso si arriva impreparati, addirittura senza averci mai pensato prima del verificarsi di un evento infausto. Una sorta di tabù”.
Non solo: occorre preparare il terreno alla coesistenza di generazioni diverse: “Tipicamente i giovani tendono a portare la loro carica innovativa, mentre la generazione precedente ha un assetto più conservativo. Occorre evitare che si arrivi a un conflitto, gestire la transizione e sfruttare nel miglior modo possibile, da un lato, l’esperienza della generazione senior, dall’altro, la propensione a innovare della nuova generazione”.
De Massis, con la sua scelta – prima – di lasciare l’Italia per insegnare e – poi – di rientrare, sa di avere addosso lo sguardo non solo degli studenti: “In entrambi i casi la mia è stata una libera scelta. Ho deciso di tornare in Italia perché a Bolzano ho trovato un progetto ambizioso e mi è stata offerta un’opportunità unica di approfondire la mia materia, e sento il bisogno di restituire al mio Paese. Non c’entra nulla nemmeno la Brexit, visto che la mia decisione è stata precedente al referendum”.
A lezione il più giovane ordinario d’Italia troverà una generazione cresciuta negli anni della crisi, e che si è sentita piovere addosso ogni genere di giudizio: mammoni, choosy, divisa fra chi fugge all’estero e chi resta. “A questi ragazzi che ne hanno sentite di tutti i colori voglio dire che non abbiamo bisogno di ulteriore disfattismo. Che decidano di restare o di partire, credo che debbano guardare al futuro e a una carriera globale, da cittadini del mondo, liberi di muoversi, partire, tornare. Siamo in una fase storica di grandi cambiamenti, e il merito avrà un peso sempre maggiore. Dunque basta abbattersi: meglio rimboccarsi le maniche e adottare un approccio costruttivo, con radici e cuore in patria e la testa nel mondo”.