Un approfondimento a cura dell’Osservatorio mercato del lavoro di Veneto Lavoro mostra che gli anni della crisi hanno portato con sé un significativo aumento del lavoro part time, che non si è arrestato nemmeno nell’ultimo biennio di (moderata) ripresa economica e occupazionale. In questo contesto, scrive la ricercatrice Letizia Bertazzon, “oltre agli aspetti positivi, emergono alcuni dubbi ed interrogativi sulle reali virtù del rafforzamento di questa modalità occupazionale. Se da un lato il diffondersi del lavoro a tempo parziale ha contribuito ad aumentare la partecipazione al mercato del lavoro, soprattutto delle donne, ed ha contribuito a soddisfare il crescente bisogno di flessibilità delle aziende, dall’altro sembra aver avuto un ruolo importante nell’alimentare la segmentazione del mercato del lavoro, rafforzando alcune forme di penalizzazione e discriminazione. Pur rappresentando un valido strumento di incentivazione dell’occupazione, sia dal lato della domanda sia dal lato dell’offerta, il lavoro part time, oggi più che mai, con un progressivo allargamento della platea dei soggetti interessati, rappresenta un’arma a doppio taglio: se da un lato rafforza le opportunità di accesso e/o permanenza nel mercato del lavoro, dall’altro rischia di diventare, in un contesto profondamente trasformato e con scarse opportunità di inserimento, una scelta obbligata (talvolta non reversibile) per il lavoratore”.
I dati dicono che l’incidenza del part time ha infatti raggiunto una quota del 18,5% sul totale dei lavoratori occupati (in Italia come in Veneto) e di oltre il 30% sul totale delle assunzioni. Nel quadro europeo il nostro Paese resta comunque di poco al di sotto della media europea (19,5%) e di Paesi quali Germania, Austria e Olanda, che, anche grazie a specifiche politiche di incentivazione, presentano percentuali comprese tra il 25% e il 50%. Altri invece hanno percentuali di parti time davvero marginali.

In ambito di lavoro dipendente, si è passati dalle circa 190mila assunzioni part time registrate in regione nel 2008 alle quasi 240mila del 2016, con un peso totale salito dal 25% al 33%. Anche in virtù del processo di terziarizzazione che da molti anni sta interessando il tessuto produttivo veneto, la crescita si è concentrata in modo particolare nel settore dei servizi (commercio al dettaglio e servizi di pulizia su tutti), caratterizzato da occupazioni più flessibili in termini di orario e continuità di lavoro. L’incidenza delle assunzioni con contratto part time è passata in questo settore dal 22% del 2008 al 36% del 2016 per gli uomini e dal 41% al 53% per le donne.
Ecco perché, accanto ai vantaggi – la capacità di innalzare i livelli di occupazione – si deve parlare anche dei rischi del part time. con sé alcuni rischi. Tra questi – segnala l’Osservatorio veneto – eventuali forme di penalizzazione e marginalizzazione cui possono incorrere i lavoratori a part time rispetto alla forza lavoro standard e la possibilità che dietro a rapporti a tempo parziale si celino comportamenti elusivi. Il sospetto – aggiunge la ricerca – è quello che possa diffondersi un utilizzo improprio dei contratti part time volto a mascherare rapporti di lavoro a tempo pieno: i cosidetti “falsi part time” rappresenterebbero circa un quinto di tutti i rapporti a tempo parziale.
Dunque, in un’ottica di consolidamento dei livelli occupazionali, il part time può assumere una duplice valenza: da un lato rivelarsi uno strumento efficace per aumentare la partecipazione al mercato del lavoro, mentre dall’altro, anche attraverso specifiche politiche di incentivazione alla trasformazione di rapporti part time in rapporti full time, rappresentare un momento di passaggio tra l’ingresso nel mercato del lavoro e una maggiore stabilità occupazionale.
