“Non chiamateci ‘mammoni’: è un’offesa alla generazione che paga il prezzo più alto della crisi”

“Tra le avvisaglie di un possibile miglioramento del contesto socio-economico post crisi c’è, di questi giorni, la notizia degli ultimi dati di Eurostat che raccontano di una lieve ma significativa inversione di tendenza: dopo dieci anni di progressivo aumento, la percentuale dei giovani tra i 18 e i 34 anni che continua a vivere con i genitori è scesa al 66%, contro il 67,3% del 2015. Sebbene siamo ancora lontani dalla media europea del 48,1%, e ci attestiamo su un valore che è il triplo rispetto a quello dei paesi scandinavi (in Danimarca è il 19,7%), si tratta di un segnale positivo, che come tale andrebbe interpretato”.

Eugenio Calearo Ciman è presidente dei Giovani imprenditori di Confindustria Vicenza, che nei giorni scorsi hanno dedicato la loro assemblea alla necessità di un ricambio motivazionale, prima ancora che generazionale. Una spinta alla generazione “whY non Italy”, che ha bisogno di una nuova ragione per restare e investire qui. Una generazione che si ritrova spesso dipinta come mammona, indivanata, choosy e via dicendo.

calearoI dati Eurostat – dice – segnano un leggero calo dei giovani che restano a casa con i genitori fino a 34 anni. Un segnale positivo. Duole invece trovare numerose letture di questi dati che continuano a parlare di “mammoni”, quando non addirittura di “mammoni incalliti” per i giovani tra i 25 e i 34 anni che non lasciano la casa di origine nemmeno con un lavoro a tempo pieno.

Definire “mammoni” questi giovani è una delle peggiori offese che si possa rivolgere proprio alla generazione che sta pagando il prezzo più alto di una crisi della quale, tra l’altro, non ha alcuna responsabilità.

Non solo, ma rappresenta anche un mancato riconoscimento del ruolo portante delle famiglie, che hanno saputo costituire una vera e propria ancora di salvezza, andando troppo spesso a supplire le carenze di misure istituzionali a supporto dell’autonomia economica dei più giovani.

Significa, in altri termini, spostare l’attenzione dal fatto che sostanzialmente per i trentenni di oggi è ancora troppo difficile intraprendere una vita economicamente autonoma, fare progetti a medio o lungo termine, acquistare una casa, formare una famiglia.

Mentre in queste settimane, visto che elettoralmente fa più comodo, non si fa che parlare dello spostamento dell’età pensionabile senza nemmeno accennare ad un riassetto complessivo del sistema previdenziale, l’agenda pubblica e politica ha di nuovo accantonato la necessità di trovare quanto prima una soluzione alla questione generazionale.

Se vogliamo un reale cambiamento, se auspichiamo una crescita più significativa, non possiamo più prescindere dall’introduzione di misure che guardino finalmente anche nella direzione dei più giovani e da interventi strutturali che valorizzino il capitale umano del nostro Paese anziché respingere le menti migliori costringendole a cercare risposte altrove.

Da dove iniziare? Per esempio azzerando il cuneo fiscale per l’assunzione a tempo indeterminato degli under 35 almeno per il primo triennio; consentendo alle donne di conciliare maternità e lavoro invece di penalizzarle dal punto di vista salariale; riducendo drasticamente lo scollamento tra formazione e mercato del lavoro. È da qui che bisogna partire”.

  • diana |

    E’ innegabile che negli ultimi anni le condizioni al contorno rendono molto difficile l’autonomia per gli over 30.
    Ma nei decenni precedenti qual era la percentuale di over 30 con lavoro stabile (maschi, soprattutto) che viveva con i genitori?

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