La lezione di San Benedetto alle aziende di oggi (vista da un manager)

All’esterno dominava il caos, dentro le mura ha pianificato l’ordine, con un vertice, un consiglio direttivo e un’assemblea. Un manager con il saio, il San Benedetto che viene restituito dall’originale saggio di un uomo d’azienda che, giunto all’età della pensione, si è dedicato allo studio della Regola benedettina.

Alessandro Paglia, romano di nascita ma veneziano d’adozione, dirigente per decenni delle Generali con sede in Piazza San Marco – prima che l’azienda fosse spostata nella sede di Mogliano Veneto – è l’autore de “Il monastero come azienda” (Strategy & People editore), già presentato in Vaticano e qualche giorno fa all’Ateneo Veneto di Venezia. Lo studio prende il via dalla vita di San Benedetto (480-547), inquadrata nello sfacelo seguito dalla caduta dell’Impero romano del 476 e dalla calata dei Goti. I primi monasteri di Subiaco e Montecassino diventano un’oasi per le popolazioni fuggiasche, ma ben presto si trasformano, grazie alla regola, in nuclei sociali – prima ancora che di preghiera – e produttivi, grazie alla formula dell’”ora et labora”, alla divisione della giornata in tre fasi (otto ore di lavoro, otto di preghiera e altrettante di riposo) e alla scrupolosa organizzazione interna.

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I monasteri benedettini, che grazie alla Regola si moltiplicheranno nel mondo, diventano presidi sicuri di lavoro con norme di aggregazione mutuate dall’organizzazione militare romana, ma con una struttura flessibile che danno all’abate la possibilità di una gestione partecipata del potere. Una formula che Paglia paragona alle teorie dell’organizzazione del lavoro codificate da Taylor all’inizio del secolo scorso, dove su tutto “poggia la cupola dell’ordine”.

paglia2“A ben guardare, si scopre in Benedetto anche il talento di un leader, di un imprenditore e di un manager – scrive nella prefazione Notker Wolf, Abate primate emerito – Pertanto, nei nostri giorni la Regola di Benedetto viene scoperta di nuovo da molte persone in posizioni di rilievo in ambienti economici e manageriali. L’abilità puramente tecnico-professionale non è sufficiente. In un’ azienda non si tratta di meri rapporti tra fattori produttivi intesi in senso meccanicistico, ma di persone che stanno lavorando verso un obiettivo comune. Pertanto, vale la pena di esaminare la Regola di Benedetto, anche dal punto dell’ordine, dell’organizzazione e della leadership. Rispetto ai molti libri scritti su Benedetto e la Regola, Paglia fa un passo avanti e afferma, anche utilizzando le moderne teorie di leadership e di management, quale profonda saggezza  stia nell’opera di San Benedetto. La sua Regola rimane anche oggi un fondamento per una leadership di successo”.

Quali furono i numeri di Benedetto imprenditore ed economista d’azienda? Quali scelte organizzative egli ha fatto per progettare e per gestire la struttura del monastero?
“Con un poco di impertinenza” Paglia lo chiede allo stesso Benedetto, in una intervista ideale dopo aver letto la Regola.

Per la stesura della nuova struttura organizzativa, quale è stato il suo apprezzamento di situazione?

Nella crisi generale dell’Europa del mio tempo la missione cristiana era in consegna a quattro specie di monaci: i cenobiti, gli anacoreti, i sarabaiti e i girovaghi. Esclusi in parte i cenobiti, essi lavoravano senza guida e senza coerenza. Le loro azioni risultavano addirittura controproducenti. Come ho detto nel capitolo primo: lasciamoli perciò da parte e veniamo finalmente a organizzare, con l’aiuto di Dio, la più valida delle regole
dei monaci, quella dei cenobiti. Ovviamente, con la prospettiva di porre risolutamente in pratica gli insegnamenti delle Sacre Scritture.
Come si dice oggi, per una strategia di sviluppo del cristianesimo, la combinazione prodotto-mercato del monastero è evidente: il fatto cristiano è il mio prodotto, ed esso, nella sua totalità, deve soddisfare l’esigenza di incrementare il valore aggiunto del mercato spirituale, al quale va integrato quello della cultura, della socialità e della economia.

Quale obiettivo specifico ha formulato per la sua azienda?

È bene ricordare, innanzi tutto, due cose: la prima è che in ragione dell’universalità del messaggio cristiano, l’azienda deve nascere in ogni luogo con una durata di esercizio illimitata; la seconda è che ogni tipo di persona può farne parte. L’obiettivo è stato, dunque, di istituire una scuola che insegni a servire il signore e, nell’organizzarla, è nostra speranza che nessun precetto sarà aspro e gravoso. In termini correnti, la mia azienda è una scuola aperta a tutti per la formazione permanente e dove i lavoratori non cessano mai di imparare per sé e per gli altri.

paglia3Perché ha scelto la struttura aziendale di tipo lineare?

Ho utilizzato lo schema più semplice. Voi lo chiamate anche scalare o gerarchico per sottolineare lo sviluppo delle deleghe o l’autorità gerarchica. Io l’ho scelto perché è affermato il principio dell’unità di comando o univocità del capo che è rappresentato dall’abate. Egli, in senso spirituale fa le veci di Cristo, in senso aziendale è il presidente-amministratore delegato-direttore generale insieme. Solo così gli ordini e le direttive procedono verso il basso in modo continuo, tempestivo e rapido. In caso di macro-dimensione del monastero l’abate può nominare il secondo nella figura del priore, ma al riguardo ho dato precise raccomandazioni affinché l’esistenza del priore non sia motivo di contrasti. Se il numero dei monaci è grande, l’abate deve invece applicare il principio della delega  nominando i decani, da scegliere tra i monaci con il criterio della meritocrazia per seguire gruppi di dieci unità.

Una lettura che, al pari della celebre “Arte della guerra” di Sun Tzu, può fornire qualche utile consiglio ai dirigenti d’azienda nati 1.500 dopo San Benedetto.

Il libro, non in commercio, può essere richiesto a sandropaglia31@gmail.com.

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