La cittadinanza alle vittime, lo stop alla fabbrica: due problemi ancora aperti dopo l’incidente sul lavoro

Giovedì 7 giugno è deceduto all’ospedale di Cesena Sergiu Todita, coinvolto insieme ad altri tre lavoratori nel gravissimo incidente avvenuto alle Acciaierie Venete lo scorso 13 maggio. Todita aveva 40 anni, era di origine moldava ed era un operaio esperto, lascia la moglie e la figlia di 13 anni.

Nei giorni scorsi scorsi, d’intesa con il Sindaco di Padova, Sergio Giordani e con il sindaco di Cadoneghe, Michele Schiavo, i segretari di Cgil Cisl e Uil del Veneto, Christian Ferrari, Gianfranco Refosco e Gerardo Colamarco, hanno inviato una lettera al Presidente della Repubblica Sergio Mattarella perchè a Sergiu e a Marian Bratu, venga concessa la cittadinanza italiana onoraria. “Una cittadinanza che si sono conquistati con il duro lavoro – scrivono i tre segretari, e dopo la scomparsa di Todita “ora chiederemo al Presidente della Repubblica che la cittadinanza venga conferita alla moglie e ai figli di Todita. Se celebrati a Padova, saremo presenti con una nostra delegazione ai funerali di Sergiu, l’ennesimo immigrato che ha perso la vita lavorando nelle aziende venete. Questo è il momento del dolore, ma occorre che gli impegni presi dalle istituzioni e dalle Parti Sociali  al tavolo convocato in Regione qualche settimana fa si traducano rapidamente in fatti: la sicurezza sul lavoro è oggi ancora di più una priorità per tutti”.

lettera

La richiesta di cittadinanza vuole rispondere a esigenze molto concrete e potrebbe cambiare per molti aspetti il futuro di queste persone, con ricadute diverse. Con l’acquisizione della cittadinanza italiana (e quindi la qualifica di cittadino dell’Unione Europea) cambia molto proprio per la famiglia di Todita, extracomunitaria (Moldavia). “I diritti sociali universali non cambiano – spiegano i sindacati – Ad esempio per la famiglia Todita la pensione naturalmente rimane quella dei superstiti: in base agli anni di lavoro svolti in Italia si calcola l’importo che poi va assegnato alla coniuge e alla figlia minore”.

Cambiano invece i diritti civili e quelli sociali “territoriali”.

Alcuni esempi. Con la cittadinanza non ci sono più gli obblighi e le incombenze (compresi i costi) connessi al rinnovo del permesso di soggiorno/carta di soggiorno che, peraltro, richiedono il possesso di un reddito sufficiente e questo, con la morte del coniuge-lavoratore, potrebbe venire a mancare (occorre vedere se la pensione che riceve la vedova sarà sufficiente). Inoltre i famigliari solo con la cittadinanza potrebbero spostarsi in tutta la Ue per lavoro, residenza e altri motivi. In Italia da cittadini potrebbero concorrere ad alcuni lavori pubblici oggi non aperti o soggetti a restrinzioni per i non italiani (dalla sanità pubblica alla sicurezza). Inoltre i famigliari potrebbero incappare in norme restrittive locali (effetto delle politiche “prima i veneti”, “prima gli italiani”, ecc.). Infine, da italiani i familiari potranno tornare in Moldavia per un lungo periodo senza perdere i diritti acquisiti in Italia (il permesso di soggiorno permette assenze per non più di 12 mesi).

“Insomma – spiega il sindacato – su aspetti che diventaranno prioritaria per il futuro di questa famiglia come reddito/lavoro/residenza la cittadinanza italiana può garantire maggiori opportunità”.

Diverso il caso del lavoratore romeno (Bratu) per il quale la cittadinanza ha soprattutto un valore simbolico: “I cittadini comunitati infatti godono di gran parte dei diritti sociali e civili di cui beneficiano gli italiani”.

C’è un altro tema, legato agli incidenti sul lavoro e a quello che accade dopo.

Lo solleva, in una lettera aperta, Sandro Venzo, delegato alle politiche del Lavoro e Formazione di Confartigianato Vicenza.

Due incidenti, conseguenze diverse

Caro Direttore,

gli incidenti accadono, purtroppo. E se sono di particolare gravità, specie con il coinvolgimento di vittime, la loro risonanza sui mass media è tale da non poterci lasciare indifferenti. Non altrettanta attenzione, però, dedichiamo alle “altre” conseguenze che quegli eventi provocano.

La mia riflessione è ricavata dal parallelismo tra due fatti accaduti di recente nel nostro territorio regionale: fatti diversi, certo, ma che qualche interrogativo comune lo suscitano.

Il primo è un incidente autostradale, dove un camion si schianta su una fila di auto ferme in colonna e l’urto, aggravato da un rogo, provoca morti e feriti. Il secondo è un incidente sul lavoro, quando il getto di una colata in un’acciaieria colpisce alcuni operai.

Nessuno, ovviamente, può dire che non si tratti di due fatti molto gravi, soprattutto per i loro drammatici risvolti umani. Ma è quel che accade “dopo” che genera una differenza, a mio avviso, da non sottovalutare. Nel caso del primo incidente, ultimate le operazioni di soccorso e rimozione, nel giro di poche ore la viabilità autostradale è ripresa, per ovvie ragioni di servizio pubblico.

Nel caso del secondo incidente, invece, l’attività aziendale è stata sospesa in attesa di tutte le complesse indagini procedurali del caso, con la messa in cassa integrazione del personale e il danno economico che ne consegue per l’azienda stessa, i lavoratori e l’indotto.

La mia riflessione è perciò questa: fatta salva la necessaria, doverosa attività di indagine sulle cause e le conseguenti responsabilità, perché non è possibile individuare dei meccanismi giuridici e normativi grazie ai quali, proprio nel caso di un incidente sul lavoro, una volta accertata (il più presto possibile) l’assenza di altri rischi, l’attività possa riprendere in minor tempo, in modo da non aggravare ulteriormente il peso di quanto accaduto?

L’autostrada è un bene pubblico, ma anche il lavoro è un bene comune. E il mio ulteriore pensiero va alle piccole aziende, quelle con diversi ammortizzatori sociali, dove un sinistro può anche essere la causa di una chiusura talmente prolungata da diventare definitiva.

Sandro Venzo

Da un controllo fatto oggi (7 giugno) l’azienda risulta ancora ferma;il provvedimento di sospensione riguarda circa 250 dipendenti dal 4 al 25 giugno, con Cig  per tre settimane (salvo eventuali ritardi),

Molti operai avevano chiesto di poter usare le ferie al posto della cassa integrazione, perchè nel secondo caso la perdita economica è maggiore (facendo una media, 5 euro all’ora al posto di 12). “Ci riserviamo di chiedere i danni per le perdite subite dagli operai – spiega Andrea Bonato, Fim Cisl – E proprio dagli operai di Acciaierie al sindacato nazionale arriva una proposta: ripristinare l’articolo 18 in  caso di licenziamento quando l’addetto rifiuta di lavorare perché mancano le necessarie condizioni di sicurezza”.