Una carta in più per i risparmiatori potrebbe arrivare dalla doppia sentenza della Corte di giustizia sull’accesso agli atti ispettivi delle autorità di vigilanza finanziaria; un fatto che potrebbe avere un impatto sensibile sui casi già aperti davanti ai tribunali della penisola, inclusi quelli legati a Popolare di Vicenza e Veneto Banca.
Sul fronte dei crack bancari, ora i risparmiatori puntano agli atti secretati per accedere ai documenti finora “iper protetti” dalle regole del Tuf (il testo unico della finanza), e rivolgono un appello ai parlamentari per desecretare a effetto immediato i documenti della commissione d’inchiesta sui fatti degli ultimi anni. Sono le strategie di difesa che avvocati e organizzazioni di risparmiatori traditi stanno predisponendo dopo la sentenza della Corte di giustizia Ue che, pochi giorni fa, ha di fatto “liberato” gli atti dell’autorità di vigilanza per l’utilizzo processuale di chi ha un interesse dimostrato.
A Vicenza e Treviso l’attesa e, in qualche modo, la fiducia per una svolta favorevole ai risparmiatori delle due banche venete fallite si vedono nei numeri: crescono i contatti con le associazioni di difesa e le iscrizioni. «Dallo scorso agosto abbiamo superato quota 2mila fan sulla pagina Facebook dalla quale informiamo sugli sviluppi», dice Luigi Ugone, di «Noi che credevamo nella banca popolare di Vicenza e in Veneto Banca», prima associazione per rappresentanza. Qui le due sentenze con le quali la Corte di giustizia europea ha facilitato l’accesso alla documentazione delle Banca d’Italia viene giudicata importante: «Chiediamo a tutti i parlamentari italiani di desecretare i documenti della commissione di inchiesta; crediamo di trovare molto di più di una comunicazione carente nel momento dell’acquisto delle azioni. Abbiamo sempre rifiutato di incontrare a Roma i rappresentanti di quell’organismo che ci è sembrato un semplice strumento dei partiti».
Qualcosa è cambiato dopo gli incontri con i rappresentanti del nuovo Governo: «Il nostro obiettivo è una nuova normativa per i risarcimento, quella attuale è troppo limitante. Non va esaminato solo il momento della sottoscrizione, oggi le indagini riguardano aggiotaggio e false comunicazioni sociali. Va considerata la fase della gestione di uno strumento venduto a 60 euro e rotti, che non è mai stato un valore reale».
Ugone è lui stesso un risparmiatore finito nella rete: «Eravamo clienti della Vicentina da 30 anni quando ci hanno proposto di diventare soci. Mio fratello ha accettato, io mi sono fidato. Già nel 2013 ho iniziato a capire che qualcosa non andava: le pressioni continue per piazzare altre azioni, mentre la pubblicità martellante vantava solidità ed efficienza. Una banca in salute non si comporta così». L’associazione di Ugone è stata la prima a votare contro la trasformazione in Spa: «A quel punto avevamo visto i conti e sapevamo che non poteva reggere. Ma nessuno poteva immaginare che fossimo a questo punto: l’ultima persona che ho incontrato ha 80 anni, un figlio disabile da mantenere e continua a lavorare».
Nei giorni scorsi le associazioni hanno incontrato il governatore del Veneto Luca Zaia: c’è voglia di chiarezza anche sui contenuti della commissione di indagine attivata dalla Regione. È stato chiesto sostegno nei confronti del Governo, «Zaia non è certo l’ultimo degli esponenti della Lega– sottolinea Sergio Calvetti di Studio Calvetti & Partners di Treviso, che cura la class action dei risparmiatori delle due banche, circa 7mila posizioni – e rappresenta un territorio letteralmente disossato da quanto è accaduto».
Anche qui aumentano le richieste di informazione e le adesioni, anche da parte di chi ha accettato l’offerta transattiva della Vicentina: «Ad aderire sono stati i soggetti in maggiore difficoltà, i più deboli che hanno tentato di recuperare almeno qualcosa per bisogno».
Ora c’è più fiducia, «anche perché i delegati del ministero dell’Economia si sono mossi molto. Questa sentenza che apre alla conoscenza di documenti finora secretati apre scenari interessanti, ad esempio sul rimpallo di responsabilità fra Banca d’Italia e Consob. A quel punto, con la certezza di quanto è avvenuto, il Governo sarebbe al 100% coinvolto, e non mi stupirebbe se tutti questo attivismo di Lega e Movimento 5 Stelle fosse dovuto al fatto che in parte già si conoscono le responsabilità che emergeranno». A quel punto, ipotizza Calvetti, «la Banca d’Italia ha tutta la cassa necessaria a riparare il danno sofferto. Non solo: al ministro Tria abbiamo chiesto di nominare un gruppo tecnico per verificare nei conti di Banca Intesa i conti e le entrate legate alle due banche venete. Se trovassimo che Intesa guadagna qualche miliardo l’anno, penso che ci sarebbero i requisiti per chiedere un impegno nel risarcimento».
Aspettando le prossime mosse, anche lo studio legale trevigiano vede aumentare i partecipanti alla class action: «La buona notizia è che il decreto Baretta è stato congelato con tutte le sue carenze, dalla cifra – 100 milioni a fronte di perdite per miliardi – alla follia che avrebbe visto premiato chi arrivava per primo beffando ulteriormente gli altri. Ora sono più numerosi i risparmiatori rovinanti che provano a rialzare la testa».
Secondo una stima elaborata da Unioncamere Veneto il crollo delle due popolari è costato almeno 5 miliardi, con perdite delle famiglie che hanno superato quelle delle imprese.