La filiera del caffè punta sempre più decisamente verso la circolarità e l’obiettivo zero rifiuti: nuovi progetti, collaborazioni e ricerca con epicentro a Trieste, da sempre la città del caffè che ha da poco ospitato TriestEspresso Expo 2022 – 160 stand con visitatori pre-iscritti da 42 Paesi – che per tre giorni ha trasformato il capoluogo regionale nella culla mondiale dell’espresso. E proprio qui, alla presenza di tutti gli attori della filiera, si è parlato delle prospettive.
Tessuti & decaffeinati
L’obiettivo è il riutilizzo in nuovi cicli industriali di tutti gli scarti di lavorazione, dalle fasi di raccolta, a quelle di torrefazione e anche del processo di decaffeinizzazione. Demus, azienda triestina leader nella decaffeinizzazione e deceratura del caffè verde dal 1962, ha trovato – grazie ad Area Science Park, partner della rete Enterprise Europe Network EEN – quello che cercava nel Regno Unito. La richiesta della società triestina era mirata a intercettare l’interesse di aziende che potessero reimpiegare le cere estratte dai chicchi durante il processo di decaffeinizzazione: questo ha portato a individuare un partner industriale, l’azienda inglese Kerax, in grado di trasformare e rivendere al settore tessile le cere estratte dai chicchi di caffè, trasformandole da rifiuto da smaltire in materia prima seconda.
Da sempre attenta al tema ambientale, questa azienda triestina si avvicina all’obiettivo “zero waste”: tutta l’acqua usata nel processo di decaffeinizzazione viene recuperata, i solventi reimpiegati e la caffeina grezza venduta a diversi settori per essere utilizzata nelle bevande (energy drink), ma anche nella cosmetica (ad esempio creme anti cellulite).
Restavano solo le cere: su questo e altri fronti ha lavorato Area Science Park con l’Istituto Valorizzazione della ricerca e supporto al sistema imprenditoriale. «L’economia circolare del caffè apre grandi prospettive – spiega Omar Zidarich, presidente del Gruppo Italiano Torrefattori Caffè – Ci piace pensare che un giorno i baristi potrebbero impiegare grembiuli resi impermeabili proprio con gli scarti della decaffeinizzazione, e c’è anche di più: le stesse cialde di caffè potrebbero essere prodotte utilizzando la cellulosa di un altro sottoprodotto: il silverskin».
Carta ed energia
Nella filiera della lavorazione del caffè, un altro scarto per il quale da tempo sono allo studio potenziali riutilizzi è la coffee silverskin, una pellicola argentea che protegge l’esterno del chicco di caffè verde. Si stacca parzialmente in campo, durante l’essiccamento e la rimozione dei semi di caffè dai frutti e, in parte, durante la torrefazione, nel momento in cui il chicco viene tagliato in due.
Per valutare i settori di riutilizzo di questo scarto, Area Science Park, nell’ambito delle iniziative della rete EEN e del sistema ARGO con il progetto SISSI, in collaborazione con l’Associazione Caffè Trieste e il Gruppo Italiano Torrefattori Caffè, ha chiamato a raccolta tutti gli operatori potenzialmente interessati alla valorizzazione del silverskin.
«Il silverskin è uno scarto secco che può essere facilmente raccolto, generalmente non viene riutilizzato ma smaltito come rifiuto speciale con i relativi costi. Basterebbe però una autocertificazione che rispetti i requisiti di legge per essere un sottoprodotto, per farne un materiale da utilizzare come biomassa per produrre energia, in un momento nel quale nessuna fonte deve essere sprecata», spiega Francesca Marchi dell’Ufficio Supporto al Sistema Imprenditoriale di Area.
Grazie a un emendamento inserito tra le nuove “Misure urgenti per il contenimento dei costi dell’energia elettrica e del gas naturale, per lo sviluppo delle energie rinnovabili e per il rilancio delle politiche industriali” varato dal Governo, infatti, nuovi sottoprodotti dell’industria agroalimentare, fino a oggi non impiegabili negli impianti di biogas, saranno utilizzabili: tra questi, anche gli scarti dal processo di lavorazione del caffè che, con questo intervento legislativo possono contribuire alla produzione energetica nazionale.
L’uso a fini energetici non è però l’unico: il silverskin è un materiale ricco di polifenoli, fibre alimentari e xantine, che lo rendono adatto non solo all’utilizzo per la formulazione di integratori o fitoterapici e come matrice per fertilizzare i terreni, ma anche per ricavarne cellulosa, lignina, lipidi e alcuni composti fenolici. Tutte caratteristiche lo rendono un materiale sostenibile, in grado di rispondere alle nuove esigenze di un mercato incentrato su processi di economia circolare.
La difficoltà maggiore nel trasformare il silverskin in un sottoprodotto, come spiegato dai torrefattori, è solo di tipo burocratico ed amministrativo. Il prossimo passo sarà quindi quello di organizzare un seminario tecnico-legale assieme ai referenti regionali che operano per la vigilanza ambientale. «Questo tavolo di lavoro – concluide Fabrizio Polojaz, presidente dell’Associazione Caffè Trieste – con un ente di ricerca attento ai temi di innovazione e sostenibilità, ha dimostrato come i momenti collaborativi tra aziende e istituzioni possono abbattere barriere burocratiche e culturali: è nell’interesse di tutti trovare nuove soluzioni circolari».