In un progetto firmato dall’associazione la Gabbianella e altri animali di Venezia si incontrano due esigenze; quella di rendere agibile l’antico chiostro di Santa Maria Maggiore e quella di dare un lavoro a qualche detenuto al momento del fine pena (cosa che, dicono le statistiche, riduce il rischio di ricadute, motivo per cui in molte carceri italiane il lavoro è diventato una buona prassi: fra i casi studiati anche all’estero c’è la pasticceria Giotto del Due Palazzi di Padova).
La Gabbianella ha alle spalle grandi battaglie – come quella per l’affido ai single – e una lunga esperienza con le mamme detenute alla Giudecca, con un lavoro di accompagnamento dei bimbi a scuola, ma anche in piscina o al mare d’estate, e di sostegno (anche nelle famiglie). A questo si è poi aggiunto il lavoro con i figli dei detenuti nel carcere maschile di Santa Maria Maggiore. Tre anni fa è partito “Essere padri in carcere”, finanziato dall’allora Coop Adriatica, e poi, con la Regione, già finanziato dalla Regione Veneto, “Lavorare per i propri figli”
Il progetto “Da detenuti a ponteggisti” – che può essere reso possibile da un bando di “Azione Cattolica” e si può sostenere con un click – è un’integrazione di un altro progetto già finanziato dalla Regione Veneto, chiamato “Lavorare per i propri figli”.
L’obiettivo del progetto “Lavorare per i propri figli” è riattivare l’area verde all’interno del chiostro di S.M. Maggiore per farne un luogo adatto agli incontri tra i detenuti e i loro figli. Il lavoro necessario alla riattivazione dovrebbe essere svolto, anche in accordo con chi si occupa della manutenzione ordinaria dell’Istituto, dai detenuti sotto la guida di artigiani dell’associazione Artigiani Venezia – Confartigianato e di un architetto, Athos Calafati, capace di orientare gli stessi sia nel senso della necessaria sicurezza che della ricerca dell’armonia estetica. “Da molto tempo – spiega Carla Forcolin dell’associazione veneziana – si cerca di riattivare l’ex chiostro di S. M. Maggiore e questo bando potrebbe spingere all’attuazione di progetti da tanto tempo voluti e necessari, perché oggi le famiglie dei detenuti incontrano i loro congiunti in uno spazio dove ci sono pochissimi metri quadri liberi da tavoli fissi, per giocare insieme, e dove manca uno spazio-eventi, che sarebbe stimolante per tutti”.
Già esistono degli accordi tra Ministero e associazioni come “Bambini senza sbarre” che prevedono la creazione di aree destinate ai colloqui tra padri e figli. Nel caso veneziano i “ristretti” dovranno apprendere dagli artigiani e dall’architetto a fare i lavori a regola d’arte, sia per accogliere i figli in un ambiente favorevole al dialogo, sia per poter ricevere un attestato che certifichi la loro abilità come muratori, pittori, elettricisti e per la capacità di mostare e smontare le impalcature. Un attestato privo di valore legale, ma che comunque certificherebbe il lavoro realmente attuato e la loro regolarità nella presenza agli incontri e dunque in qualche modo spendibile nella ricerca di un lavoro.
“I colloqui con i figli saranno preparati anche da uno o due psicologi – spiega Forcolin – che accoglieranno i detenuti che avranno il desiderio o bisogno di aprirsi a una riflessione su se stessi e sui rapporti con la famiglia. Gli incontri con i figli saranno favoriti dall’UEPE (Ufficio di esecuzione penale esterna), e attuati in collaborazione con “La gabbianella” nei casi in cui accompagnare i bambini sia necessario. I colloqui saranno resi piacevoli ai bambini da animatori che cercheranno di far giocare insieme padri e figli, o intratterranno i bambini mentre i detenuti parlano con i familiari. Un ruolo importante nel curare materialmente delle piante in giardino lo avrà un giardiniere e la crescita delle piante, curate insieme, dovrebbe rappresentare simbolicamente la crescita dei rapporti”.
In tutto questo percorso – è l’obiettivo – saranno acquisite competenze artigianali e di maggior consapevolezza nell’attuazione del ruolo paterno, “che al di là delle schede compilate, non saranno misurabili con indicatori precisi, ma rimarrà, alla fine del progetto, l’Area Verde, luogo adeguato agli incontri tra famigliari e ad eventi come rappresentazioni teatrali o mostre, o anche solo di disegni fatti dai bambini durante i colloqui. Per ripristinare l’intonaco e ridipingere i muri del chiostro abbiamo bisogno di ponteggi, il cui noleggio è particolarmente costoso. Realizzare i ponteggi secondo le normative vigenti è un altro lavoro”.
Ecco perché si ipotizza quindi di integrare il progetto “Lavorare per i propri figli” con il progetto “Da detenuti a ponteggisti – imparare a lavorare in sicurezza”, per costruire e imparare a costruire in sicurezza le impalcature. “Con il primo bando – fa sapere l’associazione – non è possibile utilizzare altri fondi per l’acquisto di materiali. I ponteggi hanno un costo elevato, ma senza gli stessi non si può fare un lavoro decoroso nel chiostro. Ecco perché i due bandi si sposano perfettamente. Senza il secondo finanziamento, che qui richiediamo, le mura del chiostro saranno intonacate solo ad altezza d’uomo e tutto il lavoro risulterà misero, meno completo e bello. Se invece questo secondo progetto venisse promosso, le facciate sarebbero completate e acquisterebbero maggiore dignità. Inoltre i detenuti avrebbero la possibilità ricevere una formazione professionale davvero utile da spendere dopo la conclusione della pena”.
Per sostenere il progetto e conoscerlo meglio di può cliccare qui (e guardare questo video).