Nei vivai o al supermercato, fra le bustine delle sementi per inventarsi coltivatori anche sul balcone del monolocale cittadino, c’era un unico grande assente. L’aglio. Se ora c’è si deve a un coltivatore di Fenil del Turco, provincia di Rovigo, Pierino Romagnolo, titolare dell’azienda agricola che porta il suo nome e che per prima ha deciso di adibire parte della coltivazione all’aglio da seme per hobbistica.
Il grande assente
«Mi sono accorto che le rivendite di semi per l’orto casalingo non avevano l’aglio – racconta – così abbiamo pensato di colmare il vuoto; oggi forniamo bulbi da seme nelle più svariate confezioni, l’ultima in cubetti da trapianto, che consentono a chiunque di avere il prodotto fresco da raccogliere in terrazza o sul balcone». Anche all’11. piano o più su, viste le dimensioni contenute del vaso. Il prossimo passo è vendere le piantine già avviate, «così tempo un paio di mesi raccogli», spiega Romagnolo, che parla del suo prodotto come di un bambino.
Nove mesi
L’aglio «resta nel grembo della terra nove mesi. Non basta selezionare il seme e piantarlo, occorre accudirlo perché sbalzi di temperatura e piovosità rischiano di farlo ammalare. A seconda della varietà abbiamo seminato fra settembre e novembre; per fortuna ora è arrivato il freddo, a tenere a bada i possibili parassiti». E poi c’è la raccolta: quella tradizionale che non danneggia i bulbi è fatta interamente a mano, così come l’intreccio.
Una volta intrecciato l’aglio parte per i surmercati del Nord Italia (come Esselunga) e arriva fino a Slovenia e Croazia.
Alla Romagnolo lavorano marito e moglie, due dipendenti e alcuni stagionali quando la fase della lavorazione lo richiede: «Ci sono persone che lavorano con me da vent’anni, hanno professionalità e spirito di sacrificio. Perché la fatica è grande, i costi sono tanti e i margini sempre più risicati, senza una squadra affiatata sarebbe impossibile fare reddito, mantenere posti di lavoro. Questa è una lavorazione complessa, che si tramanda dalle precedenti generazioni, ma i giovani spesso scelgono di fare altro» racconta Romagnolo, due figli, uno ingegnere, l’altro (il più piccolo) abituato fin da quando aveva 10 anni a partecipare alle fiere europee come Fruit Logistica a Berlino.
La svolta Dop
Una svolta è arrivata con il riconoscimento della Dop, denominazione di origine protetta, per l’aglio bianco polesano, la cui produzione è documentata dall’800: «L’aglio ha dei detrattori. Perché il suo sapore è incompatibile con l’ipocrisia. Quando c’è si sente», si legge nel sito dedicato,
Il disciplinare approvato spiega che l’Aglio Bianco Polesano “è una pianta con bulbi di colore bianco brillante uniforme data l’assenza di striature di altro colore, di forma regolare e compatta, leggermente appiattiti nel punto di inserimento dell’apparato radicale. Le foglie, lanceolate e strette hanno una colorazione verde/azzurra. Il bulbo deve essere di forma rotondeggiante – regolare con un leggero appiattimento della parte basale, di colore bianco lucente, ed esente da fitopatologie. Il bulbo è costituto da un numero di bulbilli variabile che risultano tra loro uniti in maniera compatta e con una caratteristica curvatura della parte esterna. I bulbilli che lo compongono devono essere perfettamente adiacenti l’uno con l’altro. Le tuniche che li avvolgono hanno colorazione rosata di varia intensità nella parte concava, bianca in quella convessa. La Dop è ottenuta con l’ecotipo Bianco Polesano e la varietà Avorio”.
Un aglio al Quirinale
La Dop è stato un investimento sulla qualità, minacciata anche dal possibile aumento del contingente di aglio cinese (il maggior produttore mondiale) in Europa. Ora, per sostenere una produzione territoriale e insieme la sua storia, si organizzano convegni e collaborazioni con chef e scuole alberghiere per fare il punto sulle qualità dell’aglio e gli usi possibili nelle ricette. Intanto, l’oro bianco ha già incassato il gradimento dello chef Fabrizio Boca, capo cucni a del segretariato generale della presidenza della Repubblica. Dopo un primo contatto e l’invio di una fornitura di prova, si è passati a tre-quattro consegne all’anno con carichi di una ventina di chili di trecce.