A Villiago, provincia di Belluno, Veneto Agricoltura (l’agenzia di studio e ricerca in agricoltura della Regione Veneto), ha messo a dimora un gelseto che occupa lo spazio di un ettaro. Una piantagione di 2.600 gelsi si aggiunge alle altre centinaia di piante regolarmente potate e sparse tra la Valbelluna, la provincia di Treviso e quella di Vicenza. La prospettiva è di arrivare a 2.500 chilogrammi e a un centinaio di telaini (ognuno contiene 20mila larve di baco) per le richieste provenienti dal settore farmaceutico, della moda, della gioielleria, dall’arredamento.
Giampietro Zonta, titolare della D’Orica di Nove, Vicenza, per primo ha messo al lavoro la creatività, e in qualche modo ha aperto una strada: «Mia moglie, che in azienda è la creativa, ha ideato un gioiello con del tessuto di seta, il più pregiato. Ho chiesto: dove si compra della seta veneta? Impossibile, mi hanno risposto». Ma impossibile non era. Facile, francamente, nemmeno: «Ho trovato una vecchia filanda chiusa da decenni, a Castelfranco Veneto, l’abbiamo acquistata e rimessa in funzione».
La sua potrebbe non essere l’unica acquisizione di una vecchia filanda a scopo produttivo. I bachi sono selezionati dal Cra (Centro ricerche agroalimentari) di Padova, l’unico centro nel suo genere in Europa occidentale che ancora custodisce le uova: «I bachi italiani sono scomparsi per due motivi: i pesticidi in agricoltura e la scarsa resa che non rendeva conveniente l’attività. Ma ora è diverso: ora che il monopolio cinese decide i prezzi e la qualità, spesso scadente, della seta destinata all’Europa, c’è margine per immaginare una filiera della seta italiana. Una filiera etica, che riconosca il giusto a chi ci lavora», spiega.
Attualmente i bachi in Veneto sono allevati da tre cooperative sociali (due trevigiane, una bellunese) che si occupano anche di coltivare i gelsi e danno lavoro a persone disabili o in difficoltà.
Oggi, 6 marzo, del futuro della seta si parla nel convegno organizzato da Donne Impresa di Coldiretti per rilanciare la bachicoltura in Veneto, intitolato “La bellezza appesa ad un filo di seta” (alle 15 nell’ex Filanda Motta di Campocroce di Mogliano Veneto). Qui sarà anche presentata la prima collezione di bracciali e collane realizzate in seta e materiali preziosi made in Vicenza.
Le imprenditrici di Coldiretti tornano così a occuparsi di antichi mestieri, di paesaggio rurale, del business della tradizione, e anche di solidarietà. Perché «se i bachi hanno ricominciato a produrre le prime matassine di seta è merito di alcune cooperative sociali agricole che hanno allevato nuovamente i noti “cavalieri” e che stanno tessendo una vera e propria filiera solidale-economica nel territorio» dicono alla Uecoop l’associazione di rappresentanza della cooperazione promossa da Coldiretti, 80mila imprese iscritte, di cui il 30% femminile.
Sul progetto sono state coinvolte istituzioni regionali, le scuole del territorio e le altre organizzazioni di categoria. Ritornare a parlare di allevamento di bachi per la produzione di seta veneta significa riattivare un intero sistema che parte dal primario e congiunge l’abilità dell’artigiano, l’industria tessile del ‘made in italy’, la commercializzazione di prodotti ‘doc’ che abbinano arte e tutela ambientale.
«Non è un caso se si bachi son tornati a fare il bozzolo dopo mezzo secolo – spiega la responsabile Franca Castellani. – Sicuramente l’equilibrio naturale è stato ripristinato dopo un lungo black out – continua – Salvati i cavalieri da una possibile estinzione ora è anche il momento di pensare a risparmiare da un destino simile i gelsi. La pianta che dà le foglie alimento principe delle nobili larve è stata sull’orlo dell’oblio e ora potrebbe tornare in auge con impianti sovvenzionati da finanziamenti europei che sostengono la forestazione o la biodiversità. La strategia va studiata con una rete di persone di buona volontà – insiste Franca Castellani – non serve certo un premio Nobel dell’economia, basta essere capaci di vedere più in là del proprio naso».
Con quali prospettive di mercato?
Il primo quantitativo prodotto è stato destinato a ditte sanitarie per la cura (una ditta di Brescia dai bozzoli tagliati ottiene un prodotto naturale per la pulizia della pelle) e trattamenti per il corpo, una parte è stata acquistata dal laboratorio orafo e il restante è stato impiegato da un’azienda per accessori d’arredamento o imbottiture. La prospettiva per il 2015 – dicono i protagonisti della rete per la rinascita della via della seta- è di arrivare a 2.500 chilogrammi e ad un centinaio di telaini per le varie richieste provenienti dal settore farmaceutico, della moda, della gioielleria, dall’arredamento. In termini di comunicazione commerciale poi il poter parlare di prodotti 100% italiani compresa la materia prima “seta” potrebbe rivelarsi una strategia vincente sui mercati internazionali.
Lo sanno bene ad esempio le pecore nere, italianissime, che stanno cercando di ridare vita a una filiera tutta italiana della lana. Intanto, gli antichi saperi saranno raccolti in un libro (sponsor FriulAdria Credit Agricole) che sarà diffuso nelle biblioteche e negli istituti scolastici affinchè le nuove generazioni possano farsi affascinare da una storia senza tempo.
(Le foto sono di © D’orica)