Bruno Pizzul, telecronista gentiluomo, ha ricevuto ieri a Gorizia, nel polo universitario di Santa Chiara, la laurea honoris causa in “Comunicazione integrata per le imprese e le organizzazioni” «per il contributo fornito come giornalista sportivo e radio-telecronista, testimone privilegiato di una concezione etica del calcio che valorizza la dignità della persona e rifiuta la violenza enfatizzando il valore educativo dello sport, come promotore dei valori della friulanità e di una cultura sportiva fortemente radicata nel territorio».
L’attenzione verso i più giovani e la consapevolezza delle conseguenze sociali della comunicazione televisiva, sono altri due aspetti cruciali delle capacità professionali e delle doti umane di Pizzul che, ha detto il rettore De Toni, «hanno favorito una lettura “civile” del calcio», ma soprattutto lo caratterizzano come «esemplare maestro di etica, serietà ed impegno».
Dopo la laudatio Bruno Pizzul, indossata toga e tocco, ha preso la parola per tenere, a braccio, la sua lectio magistralis intitolata “Terra amata e raccontata”.
Eccola.
«Quando ho avuto l’opportunità ho sempre cercato di far conoscere questa regione che costituisce un unicum straordinario per varietà ed eccellenze, non solo enogastronomiche e vitivinicole, in un contesto di esigua estensione. La diversità, anche linguistica, è una ricchezza che bisogna però valorizzare in modo sinergico, per operare per il bene comune».Ha quindi accennato alla travagliata storia del territorio regionale, crocevia del mondo latino, slavo e tedesco, molte volte soggetto a invasioni, al «padrone di turno». «Ci sentiamo troppo spesso ai confini dell’impero» ha detto Pizzul, che ha elogiato le attitudini sportive del territorio. Anche se, ha lamentato, non riesce più ad esprimere, come avveniva fino a pochi anni fa, decine e decine di calciatori di alto livello. «Viviamo in un periodo di emergenza educativa» ha quindi sottolineato il neo dottore honoris causa, «e lo sport, assieme a famiglia e scuola, è una delle tre agenzie educative attraverso le quali far compiere un percorso di crescita civile, umana, culturale le giovani generazioni».
«Lo sport – ha messo in evidenza – se fatto e gestito bene è una formidabile agenzia educativa. Favorisce, fra l’altro, l’aggregazione ludico-competitiva, il rispetto delle regole e di chi è chiamato a farle rispettare (arbitro) ed educa alla, importantissima, cultura della sconfitta. Tutte caratteristiche che vengono messe in discussione se l’attenzione si focalizza solo sullo sport di vertice – si è rammaricato –, troppo spesso degenerato in fenomeni di violenza, fuori e dentro gli stadi, e di mala gestione. Bisognerebbe – ha concluso – rivolgere di più l’attenzione allo sport di base o quello praticato dai portatori di handicap che giocano divertendosi. Straordinario esempio per tutti, e portatori di valori e sensazioni che dovrebbero recuperare anche i normodotati».
Nato a Udine nel 1938, Bruno Pizzul si forma alla scuola di don Rino Coccolin, parroco di Cormons. Intraprende la carriera del calciatore professionista giocando, fra le altre squadre, con Catania, Ischia e Udinese. Un infortunio al ginocchio chiude anzitempo la sua carriera. Laureatosi in giurisprudenza, entra in Rai nel 1969 vincendo un concorso nazionale per radio-telecronisti. È del 9 aprile 1970 il primo commento a una partita di calcio: Juventus-Bologna, Coppa Italia. Da allora le sue telecronache di campionato, coppe nazionali, europee e internazionali, e della nazionale sono state oltre 2mila. Dopo i mondiali di calcio del 1982 e fino al 2002 è la prima voce Rai alla tivù per gli incontri degli azzurri.
Ha rivoluzionato il modo di fare telecronaca in diretta non leggendo appunti o commentando, ma raccontando il flusso della partita.