Che cosa accade ad uno pneumatico a fine vita? A volte è possibile vederli nei parchi giochi per bambini o nei campi sportivi, ed esistono pavimenti fatti di granuli di gomma riciclata da pneumatici usati.
Il pericolo
Negli ultimi anni si è scoperto che quei componenti possono contenere composti pericolosi e cancerogeni. Si tratta di idrocarburi policiclici aromatici (Ipa), che vengono rilasciati in atmosfera, soprattutto a elevate temperature. L’esposizione ad alti livelli di queste sostanze può comportare rischi per la salute umana e per l’ambiente.
L’Unione europea ha deciso importanti restrizioni nell’impiego di questi materiali per la realizzazione di manti in erba sintetica o di tappeti dei giardini pubblici. Ma gli Ipa sono rilasciati in atmosfera anche dagli pneumatici nuovi, durante il loro ciclo di vita. A tal proposito la nuova normativa Euro7, entrata in vigore da poco, prevede che i veicoli saranno disciplinati anche sul fronte delle emissioni prodotte dai materiali e dai componenti che si usurano: pneumatici appunto, ma anche ingranaggi, dal cambio alla frizione, ai freni. In prospettiva, con la diffusione di veicoli elettrici, tali emissioni diventeranno prevalenti.
Come intervenire per limitare l’impatto ambientale di questi prodotti? È la sfida alla quale lavorerà un gruppo di ricerca, guidato da Stefano Gialanella, docente di Scienza e Tecnologia dei materiali al Dipartimento di Ingegneria industriale dell’Università di Trento.
Il team
Il team è composto da Andrea Dorigato, Luca Fambri e Giulia Fredi.
Il progetto si chiama “NORUBTREET_4_LIFE” e ha recentemente ottenuto un finanziamento europeo da 898.717 mila euro. Fondi che rientrano nell’ambito del programma Life Horizon Europe, che supporta interventi e iniziative dedicate al miglioramento della qualità dell’ambiente, alla sostenibilità e all’economia circolare.
L’obiettivo è mettere a punto un processo di riciclaggio di pneumatici usati per creare nuove mescole per pneumatici nuovi, non inquinanti, e qualificati anche per le caratteristiche di emissioni in atmosfera e il relativo impatto tossicologico e ambientale.
Coordinato dall’Università di Trento, lo studio ha quattro partner europei: Istituto reale svedese di Tecnologia (Svezia), Università di Groningen (Olanda), Università degli Studi di Milano, Marangoni Spa.
La ricerca parte da una collaborazione con l’Università di Groningen, dove è già stato sviluppato un processo per riciclare le gomme da pneumatici, ma su piccola scala.
Due le principali linee di azione: misurare le esalazioni derivate da questi prodotti provenienti dall’Olanda e verificare che non contengano sostanze tossiche come gli idrocarburi policiclici aromatici.
«Se dovesse contenerne – spiega Stefano Gialanella – dovremmo modificare l’attuale processo di produzione. E quindi creare materiali con formulazioni nuove che verranno testati in laboratorio. Metteremo a confronto le emissioni di uno pneumatico medio europeo già sul mercato con quelle dei materiali che andremo a realizzare. E ci attendiamo risultati positivi in termini sia di impatto ambientale che economico».
Le stime riportate nello studio parlano infatti di una riduzione di gas serra del 30 per cento durante il ciclo produttivo. E di un costo d’acquisto inferiore del 25 per cento.
L’obiettivo
In prima battuta saranno prodotti battistrada per veicoli pesanti (camion, escavatori, veicoli di cantiere).
Ma il traguardo è più ampio. «Il focus è sullo pneumatico – spiega il docente – e su cosa farne adesso che è stato messo al bando. Ma le informazioni che otterremo saranno utili per sapere se l’aria che respiriamo al parco giochi o durante una partita in un campo di tennis contiene sostanze dannose per le persone».
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