Sulle colline trevigiane del Prosecco c’era l’Osteria senza oste, un posto – una stanzetta in un rustico, sostanzialmente – gestita da nessuno, dove chiunque poteva entrare, mangiare una fetta di salame e bere un bicchiere di bianco lasciando ciò che credeva. Cesare De Stefani ha chiuso definitavemente a doppia mandata la porta, sulla quale ha affisso un cartello spiegandone le ragioni.
«È stata una decisione – ha detto all’Ansa – che stava maturando negli ultimi mesi, ma è esplosa sabato mattina, quando nel riordinare e riportare ciò che era stato abbondantemente consumato la sera prima, all’apertura del salvadanaio, ho trovato 1 euro e 25 centesimi». De Stefani l’ha considerato un gesto di disprezzo, l’ultimo di una serie da quando l’ufficio delle entrate di Montebelluna (Treviso) l’aveva sanzionato con 62mila euro (qui la storia) dopo aver preso a parametro gli incassi di un locale ‘simile’ nel trevigiano, che in realtà non esiste vista l’unicità dell’esperienza senza oste.
Un’osteria che era stata soprannominata anche la ‘taverna degli onesti’, visto che non trovando anima viva si poteva comunque fermarsi un attimo, versarsi un prosecco e addentare qualcosa, lasciando eventualmente un obolo.
Il passaparola e la stessa – involontaria – notorietà legata alla multa – avevano reso negli anni l’osteria era quasi una tappa obbligata per i turisti: quanto versavano liberamente non era sempre congruo, ma per l’imprenditore poteva starci. Però, anche dopo che i ‘fari’ si erano accesi per via del fisco sul quell’angolo di Santo Stefano, di Valdobbiadene, qualcosa ha iniziato a non funzionare. Quell’euro e 21 centesimi trovati nella cassetta «sono l’apice di fatti che si stavano ripetendo sempre più frequentemente. Posso con serenità affermare – ammette De Stefani – che siano il frutto di ciò che è stato esponenzialmente amplificato dopo l’intervento del fisco: cioè che quel luogo fosse fonte di reddito esentasse, un’attività in ‘nero’. Che fossi un evasore, un furbo che non paga le tasse. E grazie a questa idea gli ultimi avventori hanno fatto bisboccia gratis, lasciando a soqquadro la stanza».
Da mesi non c’erano più nella stalla la mucca con il vitellino e l’asino offerti per onorare un’altra multa: De Stefani, lo scorso ottobre, si era presentato con il pagamento in natura nella sede dell’Ulss 8: lo Spisal gli aveva ingiunto di versare 1.750 euro per alcune irregolarità nei documenti. E qualcuno aveva deciso di seguire il suo esempio: sempre a Valdobbiadene, un parrucchiere multato per pubblicità abusiva (293 euro, poster affisso sulla vetrina che non rispettava la normativa sulle affissioni) aveva preteso di “versare” 55 tinte per capelli, un diffusore e tre contenitori di acqua ossigenata (valore di mercato: 300 euro).
Si può fare? Si può pagare in natura?
«Il fisco – spiega Nicola Fullin, commercialista a Venezia – pretende di essere pagato in denaro e se non ci riesce gli vanno bene anche attrezzature, beni, credenze e persino vestiti. Ma è possibile anticiparlo e pagarlo in “natura”? La domanda non è banale: basta aprire un bollettino degli Ivg (istituti vendite giudiziarie) per trovare un triste elenco di beni venduti da Equitalia all’asta a prezzi spesso ridicoli che servono appunto per pagare tasse, contributi, sanzioni e spese di esecuzione».
A conti fatti spesso le sanzioni, i compensi e gli interessi «fanno lievitare la somma al punto che la domanda è lecita. Perché non anticipare il fisco e pagarlo con i beni che rischia di pignorarmi, magari senza tutte le spese? Questo dovrebbe essere anche nell’interesse del Fisco, infatti si arriva all’asta esattoriale dopo moltissimo tempo, dopo che il contribuente è stato bloccato e i beni stessi sono spesso irrimediabilmente deprezzati, senza contare le spese vive di asporto, custodia, valutazione e vendita. Al di là di casi eccezionali lo Stato, cioè noi cittadini, recuperiamo solo una frazione del valore dei beni venduti e della sua pretesa iniziale e spesso si riesce solo a pagare i vari incaricati della vendita», sottolinea.
E se va può andare per i beni fisici, «non si vede perchè non possa funzionare, in astratto, per i professionisti o i vari prestatori di servizi. Dopotutto è possibile effettuare conferimenti d’opera anche nel capitale delle Srl. Tuttavia ogni forma alternativa al denaro non è accettata dal fisco. Infatti il comma 3 bis dell’art. 28 del D.p.r. 602 del 1973 dice espressamente che “Il pagamento effettuato con i mezzi diversi dal contante individuati ai sensi del comma 3 si considera omesso”. Quindi presentarsi con una mucca allo Spisal, o con i salami all’ufficio Iva è del tutto inutile. Uno spiraglio resta solo per le opere d’arte. Secondo lo stesso decreto è infatti possibile pagare con opere d’arte ma la procedura è così complicata per la valutazione così aleatoria che in 30 anni non si è ancora registrata una singola richiesta in tal senso».