Un punto di vista diverso sul fenomeno del “brain drain” italiano (la fuga dei cervelli e dei talenti), nella speranza di trasformarlo in un ponte che unisce Italia e Usa nelle due direzioni. Issnaf (Italian Scientists and Scholars in North America Foundation) è un’organizzazione no-profit la cui missione è quella di promuovere la cooperazione in ambito scientifico, accademico e tecnologico tra ricercatori e studiosi italiani che operano in Nord America e il mondo della ricerca in Italia. Con un network di oltre 4mila affiliati, che annovera illustri scienziati e giovani ricercatori, è il maggiore rappresentante della diaspora intellettuale italiana in Nord America e un ponte che collega le due rive dell’Atlantico, per consentire la condivisione e la diffusione di un’inestimabile patrimonio conoscitivo.
Due giovani scienziati veneti che lavorano negli Usa, classe 1976 e 1979, sono fra i finalisti degli Issnaf Award, che saranno consegnati il 18 ottobre nell’ambasciata italiana a Washington durante l’evento annuale di Issnaf.
Francesca Lovat, 37enne originaria di Vazzola, provincia di Treviso, è ricercatrice alla Ohio State University e finalista per il Paola Campese Award for research on Leukemias degli ISSNAF Award 2016. Combatte le forme più violente di leucemia studiando il microRna nei topi. «Faccio quello che amo, mi trovo ogni giorno a dover affrontare situazioni diverse. La monotonia non fa parte del mio lavoro». Il suo percorso di studi si è sviluppato fra l’università di Padova, dove si è laureata e ha ottenuto il dottorato di ricerca, e il Cro (Centro Oncologico di Riferimento) di Aviano, dove ha lavorato per il suo dottorato. Nel 2008 il salto negli Usa: prima alla Thomas Jefferson University a Philadelphia, poi, dal 2009, a Columbus, dove lavora sotto la direzione di un altro italiano, il professor Carlo Maria Croce.
Francesca lavora sulla ricerca di base, quella che permette all’umanità di innovarsi, di trovare risposte. Lei le cerca con un progetto che studia i microRNA, piccole molecole di RNA non codificante la cui alterazione della normale espressione, e quindi il disequilibrio, può portare all’insorgenza di patologie tumorali. La ricerca di base è fondamentale: a lungo termine la speranza è quella, capito il meccanismo dovuto alla alterazione dell’espressione di microRNA, di trovare un modo per ristabilirne l’equilibrio. Francesca Lovat è ormai negli Usa da otto anni. «Qui ho trovato delle tecnologie decisamente superiori a quelle che avevo a disposizione in Italia – spiega – e anche il fatto di lavorare con altri italiani mi ha permesso di ambientarmi con maggior facilità. Anche se probabilmente ero già avvantaggiata dall’aver lavorato al Cro di Aviano, un’isola felice: non ho mai avuto problemi di fondi e ho sempre potuto portare a termine gli esperimenti che mi ero prefissata. E ho sempre avuto uno stipendio, cosa non scontata». Un’altra caratteristica tipica degli Stati Uniti è la libertà (anche) nella ricerca. «Ho grande indipendenza nel mio lavoro, posso muovermi in base ai risultati che ottengo e stabilire la strategia per affrontare ogni situazione». Fra qualche anno Francesca Lovat si vede ancora negli Stati Uniti, magari in carriera accademica. «Non so se nella stessa Università, ma sicuramente continuerò a fare questo lavoro, quello che amo».
Luca Argenti, invece, nato a Castelfranco Veneto nel 1976, lavora ora a Orlando in Florida, ed è uno dei principali studiosi della dinamica elettronica in tempi brevissimi. Quanto è lungo un attosecondo? «Un miliardesimo di miliardesimo di secondo. Facendo una proporzione, l’attosecondo sta al secondo come quest’ultimo sta al doppio dell’intera durata dell’Universo». Ed è proprio sull’indagine della dinamica elettronica, dei meccanismi che regolano le molecole durante questi lampi di tempo così veloci che si muove la sua ricerca. Argenti è uno dei finalisti dell’AnnaMaria Molteni Award in Mathematics and Physics Issnaf Award 2016.
Il suo curriculum – è nato a Castelfranco Veneto nel 1976 – racconta la storia di un percorso fatto di eccellenza accademica unita ad una passione per la scienza sostenuta dai due genitori insegnanti e nata fin da piccolo. Tanto da essere selezionato due volte, quando era adolescente, per far parte del team italiano per le Olimpiadi di Chimica, vincendo così un argento (Oslo 1994) e un oro (a Pechino l’anno successivo). Laurea in Chimica all’Università di Pisa, dopo essere entrato alla Scuola Normale Superiore, istituzione dove ha ottenuto anche il dottorato di ricerca. Come post doc Luca Argenti ha lavorato prima all’Università di Stoccolma per arrivare poi, nel 2010, all’Università Autonoma di Madrid, dove ha trascorso più di 5 anni. Nel 2016 il passaggio oltreoceano, diventando così professore a Orlando, presso l’Università della Florida Centrale.
Luca Argenti coglie dell’Italia aspetti buoni e meno. «Ho studiato e sono stato seguito da persone con sofisticazione intellettuale e preparazione tecnica superiori alla media internazionale: da questo punto di vista non abbiamo nulla da invidiare a nessuno – spiega –. Con me, il sistema scolastico italiano è stato selettivo e meritocratico. Alle superiori, e ho fatto l’Itis, studiavamo chimica nei libri che poi si usavano anche all’Università. Con una simile preparazione non ho avuto problemi ad essere selezionato nel team delle Olimpiadi quando ero adolescente, e ad accedere alla Normale». Il vero problema è quello di non dissipare i talenti in seguito. «L’investimento che lo Stato ha fatto nella nostra preparazione rischia poi di perdersi. È sia una questione di fondi, che in Italia sono troppo pochi, che di regole. All’estero il successo di chi emerge ricade in modo tangibile su chi l’ha scelto, in termini di maggiori finanziamenti e minore carico didattico. E se qualcuno fallisce, il fallimento è di tutti. Grazie a questo meccanismo, professori e dirigenti universitari diventano come gli agenti di attori e calciatori: è loro interesse che il potenziale delle nuove leve venga riconosciuto e si realizzi appieno. Anche in Italia esistono modelli d’eccellenza assoluta, alimentati da fondi europei. Per esempio, le basi della tecnologia laser all’attosecondo sono state gettate proprio in Italia, da Mauro Nisoli, al Politecnico di Milano, oggi uno dei centri di attosecond science sperimentale più importanti al mondo. Però non sempre funziona così».
Negli Usa, Argenti prosegue gli studi di dinamica elettronica risolta nel tempo. Orlando detiene l’attuale record dell’impulso più corto, 67 attosecondi, e aspira a divenire centro di riferimento per l’intera East Coast. «Le nuove tecnologie a laser impulsati permettono di arrestare con brevissimi flash di raggi ionizzanti la danza degli elettroni alla base della reattività chimica stessa. Il moto degli elettroni, però, ci giunge crittato in minuscoli riverberi della luce trasmessa dalla molecole illuminate, e nelle fluttuazioni delle correnti di carica che raggiungono rivelatori lontani dal centro di reazione. Per ricostruire l’immagine originale delle particelle in moto a partire dal dato sperimentale, perciò, sono necessari complessi strumenti di calcolo, che io e i miei collaboratori stiamo contribuendo a sviluppare. In prospettiva, le nostre predizioni teoriche potranno servire a ideare nuove spettroscopie, e a guidare la dinamica microscopica in direzioni prima inaccessibili».
Si tratta di una ricerca fondamentale che può portare enormi ricadute non solo nel campo della chimica e della fisica, ma anche in quello tecnologico. I laser impulsati al femtosecondo, precursori di quelli usati questo tipo di studio, per fare un esempio, sono quelli che vengono ora utilizzati per operazioni mediche come la cura della cataratta. Una ricerca che anticipa il futuro. Riguardo al suo, Argenti è possibilista. «Per il momento l’obiettivo è di completare con successo il mio lavoro in Florida. Poi si vedrà: non escludo di tornare in Europa, a patto di entrare dalla porta principale, non da quella di servizio».