I virus vegetali sono piccoli, compatti, robusti, e costano poco: una startup veronese, Diamante, li ha inseriti in un kit per la diagnosi di una malattia rara, la sindrome di Sjögren, malattia infiammatoria cronica di natura autoimmune che colpisce centinaia di migliaia di persone nel mondo (nove volte su dieci sono donne). Una malattia “orfana” dal punto di vista diagnostico, perché ci vogliono in media 4 anni di visite mediche e specialistiche per inquadrare sintomi spesso confondenti. Con il kit la percentuale di risposta arriva al 98,8 per cento.
Una malattia femminile e un team di ricerca e gestione di questo spinoff dell’università di Verona altrettanto al femminile: con Linda Avesani, biotecnologa e manager scientifico, fondatrici sono la presidente Roberta Zampieri e la ceo Valentina Garonzi. “Siamo da sempre state consapevoli che le startup richiedono inizialmente un enorme impegno di tempo, e risorse: abbiamo composto una squadra che unisse alla passione e alle competenze scientifiche quelle economiche e manageriali”, spiega Linda.
Per il paziente nessun test invasivo: l’esame viene condotto sul sangue di un normale prelievo: “Il kit contiene un marcatore molecolare specifico, derivato appunto da un virus vegetale modificato. Un nanomateriale interessante, economico, che ha costi bassi iniziali e una lunga durata: potenzialmente si tratta di una tecnica applicabile ad altre malattie autoimmuni difficili da diagnosticare”, sottolinea Avesani.
In questo caso è stata usata una pianta della famiglia del tabacco, ma i possibili sviluppi della startup guardano molto oltre; il contesto è quello di una università che sostiene i suoi spinoff e di una città che, grazie anche ad azioni di marketing territoriale come To Be Verona, scommette sulle realtà ad alta tecnologia e innovazione, e promuove una azione di promozione del territorio veronese, a partire proprio dalla stessa città, per creare un sistema accogliente per la valorizzazione e lo sviluppo delle aziende.