Una buona notizia per le donne che non fanno prevenzione: il kit da autoprelievo

Arriva da Trieste una buona notizia per le donne: è arrivato in farmacia il primo kit diagnostico al mondo in grado di rilevare in modo semplice, grazie a un autoprelievo fatto in casa, il Papilloma virus umano (Hpv), responsabile dell’insorgenza del tumore al collo dell’utero.

L’innovazione è frutto di anni di ricerche svolti in Area Science Park da un team di giovani ricercatori tutti under 35, guidati da due biologi molecolari, Bruna Marini e Rudy Ippodrino, che dopo un corso di perfezionamento alla Scuola Normale Superiore di Pisa hanno dato vita nel 2015 nel parco scientifico di Trieste alla startup del settore biomedicale Ulisse BioMed.  Rispetto ai principali test molecolari utilizzati negli screening nazionali, Ladymed – questo il nome del kit – è anche in grado di genotipizzare il virus, ovvero fornire indicazioni precise sul ceppo presente nell’infezione.  Grazie a studi condotti in collaborazione con il Centro di Riferimento Oncologico di Aviano, l’Azienda Sanitaria Universitaria Integrata di Trieste e il Policlinico Universitario Campus Biomedico di Roma, il test ha completato nei mesi scorsi la validazione clinica per la marcatura CE ed è da pochi giorni in commercio.

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In Italia si stima che il tumore del collo dell’utero colpisca circa 2.200 donne l’anno. Questo tumore è causato da un’infezione persistente da Papillomavirus umano (HPV). Esistono circa 120 tipi di virus HPV, ma solo 12 causano il carcinoma del collo dell’utero. L’80% delle donne italiane fra i 25 e i 64 anni di età si sottopone a scopo preventivo allo screening cervicale (Pap-test o Hpv test, dati PASSI 2015-2018) all’interno di programmi organizzati o per iniziativa personale, secondo quanto raccomandato dalle linee guida nazionali. Lo screening cervicale a scopo preventivo avviene per il 47% nell’ambito di programmi organizzati dalle Asl, mentre il  32% delle donne fa prevenzione per iniziativa personale, sostenendo del tutto o in parte il costo dell’esame.

A partire dal Piano Nazionale Prevenzione 2014-2018 del Ministero della Salute, è stato avviato il passaggio sistematico dal Pap-test al test Hpv come esame di primo livello nello screening del tumore del collo dell’utero per le donne di età compresa tra i 30 e i 64 anni, mentre sotto tale età è ancora raccomandato il Pap-test. L’impiego dell’HPV test, che rileva la presenza del papilloma virus umano, cambia tempi e modi dello screening: poiché l’esame trova lesioni più precocemente, deve essere ripetuto ogni 5 anni invece che ogni 3 anni.

Il test Hpv è più sensibile e più efficace rispetto allo screening citologico effettuato dal Pap-test. Mentre quest’ultimo identifica alterazioni pre-tumorali già presenti da tempo, il test Hpv arriva prima, anticipa la diagnosi ed è in grado di identificare prima le donne che hanno la possibilità di sviluppare alterazioni. Oltre alla diagnosi precoce, in Italia è possibile vaccinarsi gratuitamente per l’HPV, possibilità offerta dal governo italiano agli adolescenti di entrambi i sessi, preferibilmente intorno al 12° anno di età. Il vaccino è infatti una protezione complementare e non alternativa allo screening diagnostico.

Il test LadyMed non invasivo messo a punto dai ricercatori di Ulisse BioMed è specifico per i campioni autoprelevati ed è in grado di identificare in modo preciso la tipologia del virus Hpv. Il sistema potrebbe aiutare a recuperare parte della platea di donne “non rispondenti” alle chiamate degli screening nazionali, aumentando le azioni di monitoraggio e prevenzione.

L’idea è nata da una mia domanda personale – racconta Bruna Marini -. Dovevo fare il Pap-test e mi sono chiesta ‘possibile che non c’è un’alternativa, un metodo meno invasivo o basato sull’autoprelievo? Questo mi ha dato lo spunto per l’avvio di una ricerca che ha portato alla realizzazione del nuovo kit diagnostico”. “Il Pap-test o i test molecolari – spiega Rudy Ippodrino – sono basati su un prelievo di cellule appartenenti al tessuto della cervice uterina e quindi sono intrinsecamente più invasivi. Il nostro test invece si effettua su un campione di muco vaginale che di per sé è molto facile dal punto di vista dell’autoprelievo”.

Dopo il successo di questo primo progetto di sviluppo, Marini e Ippodrino sono impegnati a realizzare nuove tecnologie nel campo della diagnostica umana. In particolare stanno lavorando a nanointerruttori in grado di rilevare istantaneamente la presenza di biomarcatori proteici con lo scopo di utilizzarli su apparecchi simili ai glucometri usati per la misura della glicemia nei pazienti diabetici.  Anche i nanointerruttori, funzionali alla messa a punto di dispositivi per la diagnostica portabile, sono prossimi all’avvio del percorso di validazione clinica che precede l’arrivo sul mercato.