In Italia le ragazze afghane del progetto “Pink Shuttle” sostenuto da Vicenza

Sono in volo per l’Italia alcune delle coraggiose ragazze che guidavano le “navette rosa” a Kabul: auto guidate da donne per trasportare altre donne a cui non sarebbe altrimenti stato permesso spostarsi e viaggiare in vetture con presenza di uomini.

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Ragazze che, quando l’emergenza politica ha reso le cose più difficili, hanno organizzato – sempre grazie alle navette che avevano imparato a guidare – un servizio sociale per donne e atlete disabili.

OTB Foundation aveva sostenuto il progetto “Pink Shuttle” di Nove Onlus per formare queste ragazze, aiutarle a prendere la patente e metterle in condizione di lavorare.

Ora siamo felici di accoglierle”, racconta con orgoglio Arianna Alessi, vicepresidente di OTB Foundation, “e di creare un nuovo progetto per aiutare loro e i loro bambini a non soccombere di fronte a imposizioni che le riportano a condizioni di vita inaccettabili.”

Imparare a guidare la navetta e mettermi al servizio di altre donne nel mio Paese è stato un incoraggiamento prezioso per me ma anche una spinta al cambiamento della condizione sociale femminile in Afghanistan, ora spero che tutto questo non svanisca”, racconta una delle driver del progetto Pink Shuttle, unendosi agli appelli lanciati nei giorni scorsi sui media da Amina, una giovane laureata parte del team di Nove Onlus di Kabul, a non abbandonare le donne afghane al terribile futuro che si prospetta per loro.

E intanto è già partito un movimento social #saveafghanwomen per mobilitare e sostenere la causa.

Il progetto

Il progetto Pink shuttle si è basato su sei taxi donati a Kabul: ideato da Nove Onlus, consisteva in un servizio di trasporto gratuito tutto al femminile: donne alla guida di navette per trasportare solo donne. Le autiste sono state selezionate, formate e autorizzate dalle loro famiglie e dal consiglio degli anziani a far parte del progetto. Un tutor le ha supportate nella fase di inserimento e nel conseguimento di un diploma di guida. Anche le passeggere venivano selezionate tramite accordi con gli enti in cui lavoravano o studiavano, vengono definiti gli orari dei trasferimenti e precisi itinerari. L’obiettivo era convertire il servizio da un’attività gestita da un’organizzazione no profit ad un vero e proprio servizio commerciale, gestito direttamente da donne afgane.

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L’iniziativa mirava a risolvere uno dei maggiori ostacoli all’emancipazione delle donne in Afghanistan: la libera mobilità. In questo Paese comunque le donne hanno sperimentato grandi limiti, non potendo guidare una bici o una motocicletta, o condividere un mezzo di trasporto con un uomo; l’unica soluzione socialmente accettabile era che condividano il mezzo con altre donne.

‘Pink Shuttle’ ha consentito alle donne di raggiungere in autonomia luoghi di lavoro e di studio, ha rappresentato un’innovazione e come tale richiede molta cautela in un Paese in guerra da 40 anni, dove i pericoli sono sempre stati molti e in particolare per le donne impegnate in attività non tradizionali.