Le foreste, le costruzioni, il part time: uno sguardo al lavoro delle donne

Dopo la significativa riduzione dei livelli di partecipazione delle donne al mercato del lavoro registrata nel corso del 2020, il 2021 ha visto una graduale ma intensa crescita dell’occupazione, tanto per le donne quanto per gli uomini. L’anno si è infatti chiuso con un incremento di circa 28.300 posizioni di lavoro dipendente nel primo caso e di 26.900 nel secondo.

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Anche in termini di assunzioni, il 2021 ha rappresentato l’anno della ripresa, arrivando a superare, nella parte centrale e finale dell’anno, i valori registrati nel 2019. Permane tuttavia un forte divario di genere, con un tasso di inattività femminile che, soprattutto a livello nazionale, rimane ancora molto elevato rispetto a quello maschile.

La ripresa osservata nell’ultimo anno è interamente ascrivibile al lavoro dipendente, in particolare quello a termine, e il divario maggiore nel confronto tra uomini e donne si osserva, ancora una volta, in relazione agli ambiti di inserimento lavorativo e alle modalità occupazionali.

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Per le donne si registra infatti un peso maggiore della domanda di lavoro a tempo determinato, anche in virtù di una rilevante presenza femminile nei settori in cui questa tipologia contrattuale è più diffusa. Le attivazioni di rapporti di lavoro a tempo indeterminato continuano invece a mantenersi su livelli nettamente inferiori a quelli degli uomini, nonostante una flessione più contenuta in periodo di pandemia.

La differenza più importante riguarda il part-time: la percentuale di rapporti a tempo parziale sul totale delle assunzioni effettuate nel 2021 è pari al 44% per le donne e al 21% per gli uomini. La domanda di lavoro si mantiene inoltre fortemente sbilanciata: per gli uomini proviene ancora in larga parte dall’industria, mentre per le donne dai servizi, soprattutto turismo, commercio, servizi alla persona e attività professionali.

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Il bilancio a fine 2021 è comunque positivo in entrambi i comparti: +7.900 posti di lavoro dipendente nell’industria (+13.000 tra gli uomini), prevalentemente nel metalmeccanico e in alcune realtà del manifatturiero locale, e +19.900 nei servizi (+14.200 gli uomini), di cui +5.700 nei servizi turistici e +4.700 nei servizi alla persona.

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In ambito ospedaliero e delle strutture di assistenza, come quelle per anziani e disabili, la crescita ha interessato profili professionali molto diversi tra loro: medici e tecnici della salute, ma anche addetti all’assistenza ed operatori socio-sanitari, la cui domanda è sensibilmente aumentata nel corso degli anni, sia più di recente per effetto della pandemia, sia a causa delle tendenze demografiche in atto e del graduale invecchiamento della popolazione.

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Proprio in questi settori si è osservata nell’ultimo anno una forte crescita delle dimissioni, a conferma di una ritrovata dinamicità del mercato del lavoro. È infatti ipotizzabile che la forte domanda generata dalla pandemia possa aver incentivato forme di transizione tra ambiti e comparti dello stesso settore, come ad esempio dal pubblico al privato oppure dal ramo dell’assistenza a quello ospedaliero, o viceversa.

Un particolare ambito di inserimento occupazionale per le donne, soprattutto straniere, è rappresentato dal lavoro domestico alle dipendenze delle famiglie. In controtendenza rispetto ad altre tipologie occupazionali, nel 2020 si è registrata una crescita sia delle assunzioni che dei rapporti di lavoro in essere, anche quale effetto del processo di regolarizzazione attivato per far fronte alle restrizioni imposte per contrastare il diffondersi del virus. Il peso delle donne in questo settore è risultato pari nel 2021 all’85%, con un’incidenza di lavoratrici straniere del 75%, prevalentemente romene, moldave e ucraine.

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Se le tendenze settoriali vedono le donne ancora fortemente legate all’ambito dei servizi, con un’elevata presenza di rapporti part-time, in tema di occupazione femminile non sembrano mancare alcuni segnali di cambiamento. La recente domanda di lavoro sembra infatti favorire l’impiego di donne in ambiti e profili tradizionalmente a bassa partecipazione femminile, a cominciare dall’industria, nei comparti legati alla produzione e gestione aziendale, all’informatica e all’ingegneria, nel mondo dell’istruzione e della formazione e nelle specializzazioni tecnico scientifiche.

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Per ulteriori dettagli è possibile consultare il report “Donne e lavoro ai tempi del Covid-19: recuperano i livelli occupazionali, ma il divario permane”, disponibile nella sezione del portale di ClicLavoro Veneto riservata agli studi e alle ricerche sul mondo del lavoro www.cliclavoroveneto.it/studi-e-ricerche-mdl.

 

Il settore forestale

Non esiste gestione forestale responsabile senza una piena parità di genere: ad affermarlo, in occasione della Festa della donna, è il Forest Stewardship Council® (FSC®), l’associazione cha da più di 20 anni si occupa della salvaguardia di alberi e boschi in Italia, che ha chiesto di raccontare il gender gap – e i modi per superarlo – nel settore forestale italiano a tretestimoni d’eccezione.

Consulenti e tecnici forestali, boscaioli, vivaisti, pianificatori, gestori e addetti delle aziende del settore del legno: il mondo economico che ruota attorno alle foreste è sempre stato un “affare per uomini”, anche se qualcosa sta cambiando. L’iniziativa di FSC® Italia fa il punto sull’empowerment femminile nel mondo dei boschi.

Partendo dai numeri: nell’Europa a 27 Paesi l’economia delle foreste occupa oggi (dati 2020 dell’ European Institute for Gender Equality, EIGE) 446.000 uomini e solo 63.000 donne (12,4%), mentre in Italia sono impiegati poco più di 50.000 operatori, di cui 5.500 donne (10,8%). Alcuni esempi parlano però di uno scenario che sta lentamente cambiando, ed il Forest Stewardship Council (FSC) ne ha chiesto conto a tre donne del settore: Maria Rita Gallozzi, vice presidente dell’Associazione e auditor; Alessandra Stefani, Direttrice della Direzione generale foreste del Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali (Mipaaf); Maddalena Senter, presidente della confederazione delle Associazioni Universitarie degli Studenti Forestali d’Italia (Ausf Italia).

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Promuovere la parità di trattamento e le opportunità tra donne e uomini in tutti i settori, compresa la partecipazione al mercato del lavoro, i termini e le condizioni di impiego e l’avanzamento di carriera, è uno dei pilastri europei dei diritti sociali: “Generalmente però – spiega Maria Rita Gallozzi (foto qui sopra) –  è difficile trovare donne impiegate direttamente nei boschi, sia in Italia che in altri Paesi: di solito vengono assegnate ad attività amministrative delle ditte forestali o nelle aziende del legno”. EIGE conferma che nessun Paese al mondo ha completamente colmato il divario di genere e che la discriminazione avviene su più livelli, interessando anche questioni come tasso di occupazione, condizioni di lavoro, salario.

“Ricordo che durante un audit in alcune aziende dell’est Europa abbiamo trovato donne che lavoravano in ciabatte e senza dispositivi di sicurezza, di cui erano invece dotati i colleghi maschi che operavano alle macchine. Certo: posso dire di non essere mai stata discriminata in modo evidente nel mio lavoro – prosegue – ma è vero che spesso una donna forestale viene accolta con un po’ di scetticismo”.

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Significativa è anche la testimonianza della responsabile della Direzione Generale Foreste del Mipaaf, Alessandra Stefani (foto qui sopra), una vita nel Corpo forestale dello Stato, che racconta come tuttavia le cose stiano pian piano cambiando. “Quando ho frequentato io la facoltà di Scienze forestali – commenta con FSC la funzionaria del Ministero – solo un iscritto su sette era donna; oggi sono circa la metà”.

In realtà oggi la presenza femminile nei percorsi di formazione universitaria supera quella degli uomini (57%, Fonte: Talents Venture 2021), ma si ferma al 37% nei corsi a tema ambientale, matematico o tecnologico; ciò nonostante quanto uscito ad esempio dalla quarta conferenza mondiale delle Nazioni Unite sulle donne a Pechino (1995), che ha identificato l’ambiente come una delle 12 aree di maggior contributo per il sesso femminile. “La chiave di volta è la competenza che, unita ad una maggiore inclinazione alla cura e alla protezione, può fare la differenza” afferma Stefani “Ma ciò non basta: servono cambiamenti trasversali e misure di sostegno al cambiamento, non solo nel mondo del lavoro ma anche nella società: politiche per la famiglia, conciliazione dei tempi di lavoro, riorganizzazione del sistema di welfare e, più in generale, un salto culturale da parte di tutti”.

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Uno sguardo sul futuro lo offre Maddalena Senter (foto qui sopra), giovane presidente di Ausf Italia: “In ambito universitario non ci sono distinzioni. Sono tante le ragazze che si iscrivono a Scienze forestali e molte poi proseguono come borsiste, dottorande e docenti. La maggior sensibilità delle generazioni più giovani ai temi ambientali ha sicuramente contribuito ad appiattire le differenze, concentrandosi sul fine: proteggere e conservare il capitale naturale. Poi certo, rimangono i miti come quello del maschio taglialegna con la camicia a quadri di flanella, la motosega e la barba, ma sono appunto questo: degli stereotipi incapaci di descrivere i cambiamenti in atto”.

Alla domanda su che cosa manchi per giungere a un più completo riconoscimento del ruolo della donna nel settore forestale, Senter non ha dubbi: “Siamo un Paese forestale: basterebbe una maggior consapevolezza di questo per avere una maggior valorizzazione delle figure professionali – e del ruolo della donna – anche in questo ambito”.

Nelle costruzioni

Le donne scendono in campo nel settore delle costruzioni e si consolidano in quello dei servizi. Questi due comparti segnano una crescita positiva delle imprese in rosa rispettivamente del 5,4% e del 3,9%. E’ quanto emerge dall’analisi dei dati 2021 dell’Ufficio Studi e Statistica della Camera di Commercio di Verona elaborati in occasione della Giornata Internazionale della Donna. Nel complesso un quinto delle imprese veronesi sono a guida rosa, sono 19.581, in crescita dello 0,6% rispetto al 2019.

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In tre anni le imprese femminili si sono strutturate – spiega Roberta Girelli (in foto), presidente del Comitato per l’imprenditorialità femminile della Camera di Commercio di Verona – e hanno acquisito maggior peso specifico, pur mantenendo una percentuale sul totale delle imprese lievemente inferiore alla italiana (22,03%), probabilmente per la ricchezza del tessuto socio-economico per cui è meno sentita l’esigenza di mettersi in proprio rispetto ad altre aree. A fronte di un calo delle società individuali e personali, abbiamo rilevato infatti un aumento del 5,5% delle società di capitali. Con la legge di Bilancio è stato istituito un fondo da 400 milioni di euro per le imprese femminili. Il fondo prevede finanziamenti fino a 400mila euro per progetti di investimento con contributi che vanno a finanziare anche il capitale circolante. Si tratta di un mix di contributi a fondo perduto e finanziamenti a tasso zero che si compone diversamente a seconda del progetto presentato. Non ci sono limiti all’anzianità d’impresa né alle forme: il fondo è rivolto sia alle imprese che alle libere professioniste. Ci sono già strumenti che finanziano le imprese anche con premialità per la presenza femminile: su 54mila progetti di startup presentati, la presenza rosa nella compagine societaria è di una su 3”.

Le imprese si occupano prevalentemente di servizi (7.092 unità in crescita del 3,9% rispetto al 2019). Sono in crescita anche le imprese delle costruzioni (780).

Dopo i servizi, il settore a maggior presenza femminile è il commercio (4.396 imprese) seguito dall’agricoltura (2.979), dall’alloggio e ristorazione (2.297) e dall’industria (1.366). Quanto alle cariche societarie, le donne socie, amministratrici o titolari sono 39.894, il 26,4% del totale degli imprenditori veronesi. Di queste 4.703 sono straniere: rumene, cinesi, nigeriane, marocchine e brasiliane in prevalenza.