Gestire cervi e camosci: la squadra catture di Belluno fa scuola

Ricordate il caso del cervo entrato in un negozio di Cortina d’Ampezzo? E’ solo uno degli esempi di intervento poco ordinario toccato alla Polizia, e per il quale serve una adeguata preparazione.

La Polizia Provinciale di Belluno – in prima linea su molti interventi con animali selvatici – fa ora scuola ai colleghi delle altre Province. Nell’ambito di una serie di corsi di formazione continua, si è concluso pochi giorni fa un approfondimento specifico sull’utilizzo del fucile lanciasiringhe, strumento in dotazione per la sedazione e la cattura degli animali selvatici (perlopiù a scopo scientifico). Alle lezioni in aula ha partecipato anche la Polizia Provinciale di Treviso, con sei guardie, più un operatore del Parco naturale Dolomiti d’Ampezzo.

Sono state messe in comune le diverse esperienze e la Provincia di Belluno ha potuto condividere un lavoro che ha alle spalle quasi quindici anni di storia e di competenze. La squadra catture infatti è stata formalmente istituita nel 2008, con l’obiettivo di recuperare gli animali selvatici nei centri abitati (caso recente appunto il cervo di Cortina), aiutare gli allevatori nel caso di animali domestici scappati (in particolare i bovini), ma soprattutto la cattura di animali a scopo scientifico, come verrà fatto per il monitoraggio dei camosci sul Monte Grappa, nei prossimi mesi.

Negli ultimi mesi, inoltre, sono stati proposti anche due corsi sul maneggio e l’utilizzo delle armi lunghe: la parte teorica è stata completata, mentre le prove pratiche sul campo verranno attivate nelle prossime settimane. «L’ottica in cui agisce la Polizia Provinciale con questi corsi, partecipati anche dalle guardie di Treviso, è quella di aumentare il grado di professionalità degli agenti» spiega il presidente della Provincia, Roberto Padrin. «Nell’ultimo anno, in considerazione dei pensionamenti che verranno avanti, si è deciso con la dirigente Daniela De Carli di sfruttare la specializzazione di alcune guardie su attività specifiche, così da passare il testimone ai colleghi e alle nuove forze che arriveranno. Entro fine anno infatti sono attesi i bandi per il reclutamento di nuovo personale delle Polizie Provinciali».

Progetto camosci

In particolare, i camosci del Monte Grappa possono aiutare a capire – in un clima che cambia sempre più in fretta – come mutano i comportamenti delle popolazioni di ungulati dell’arco alpino.

La popolazione del massiccio tra Belluno, Treviso e Vicenza infatti sarà al centro di un progetto di studio finanziato dal Pnrr che fa capo al Centro nazionale per la biodiversità, ideato dal professor Marco Apollonio (docente di zoologia al Dipartimento di scienze della natura e del territorio dell’Università di Sassari). L’obiettivo è osservare come i camosci stanno cambiando le loro abitudini in base all’aumento della temperatura e anche alla presenza del lupo, tornato in pianta stabile sul territorio bellunese (e anche sul Grappa).

La premessa è che il Monte Grappa ha sempre avuto una folta popolazione di camosci. Attestazioni storiche danno l’ungulato presente già nel 1500. I camosci però si sono estinti sul massiccio durante la Prima guerra mondiale. Gli ultimi esemplari sono scomparsi durante i combattimenti (o presumibilmente cacciati dai soldati per ricavarne cibo fresco).


A metà degli anni Novanta del secolo scorso, un progetto della Provincia di Belluno (consulente Franco Perco già direttore del Parco nazionale Monti Sibillini), con la collaborazione delle riserve alpine di caccia di Feltre e Cortina reintrodusse il camoscio sul Grappa. Furono prelevati otto esemplari dalla zona tra il Falzarego e il Valparola (sotto il Lagazuoi), grazie alla riserva di Cortina. E furono trasportati fino al Grappa per essere liberati nell’area dei ghiaioni della Busa. Dopo qualche anno vennero aggiunti altri 20 esemplari provenienti dal Parco delle Alpi marittime (zona che in quegli anni non era colpita dalla rogna sarcoptica). E da allora il camoscio è tornato ad abitare stabilmente il Monte Grappa e a riprodursi con continuità, tanto che oggi si contano diverse centinaia di esemplari.

Proprio questi animali saranno al centro della ricerca del professor Marco Apollonio e del suo staff. «Il cambiamento climatico esiste da sempre, ma negli ultimi trenta-quarant’anni agisce a una velocità tale da non permettere agli animali di adattarsi con facilità. È il motivo per cui osserviamo diverse specie spostarsi più a nord o a quote altimetriche più elevate» ha premesso il professor Apollonio. «Gli effetti finora osservati sul camoscio ci mostrano che le popolazioni alpine sono in diminuzione, e dagli anni ’80 in avanti gli esemplari giovani pesano sempre meno, vale a dire che si presentano più deboli. Nel tempo, il rapporto tra giovani e adulti continua a diminuire, significa che i piccoli non riescono ad arrivare a diventare adulti, se non con sempre maggiore difficoltà. E questo perché più aumenta la temperatura, e meno i camosci mangiano. Ma non è così ovunque. Il camoscio è una specie con una diffusione in una fascia altimetrica molto vasta: va dai 500 ai 3.000 metri. E alcune popolazioni di bassa quota sembrano rivelare una resistenza e uno stato di salute maggiore. L’ipotesi fatta è che il bosco possa rappresentare un’area rifugio, soprattutto nella funzione di attenuare l’effetto dell’aumento della temperatura».

Da qui è partita l’idea di studiare i camosci del Grappa, area altimetrica relativamente bassa, con ampie zone di bosco (le superficie abboscate costituiscono circa il 70% dell’intero massiccio).
«Il Grappa è esattamente quello che possiamo considerare l’ambiente ideale per i camosci nel prossimo secolo» ha detto Apollonio. «Lo studio partirà dall’incrocio della temperatura e dell’umidità, per monitorare gli spostamenti e i comportamenti dei camosci, che seguiremo grazie al radiocollare di cui doteremo una trentina di esemplari, divisi per fasce d’età e di sesso. La variante utile allo studio è che il Grappa vede anche la presenza dei predatori, con tre branchi di lupi. E proprio il lupo, che è il predatore naturale, rende il Grappa particolarmente significativo per analizzare i comportamenti del camoscio».

Il progetto durerà tre anni e seguirà gli spostamenti di una trentina di camosci e di cinque lupi, con l’obiettivo di dimostrare che la presenza del bosco mitiga gli effetti del cambiamento climatico per gli ungulati. «In particolare cercheremo di capire se la popolazione aumenta o no di numero» ha spiegato Apollonio. «Se si sposta, anche in relazione alla presenza del lupo, e se gli esemplari giovani sono in salute».

Si tratta di un progetto unico a livello alpino, che si avvale della collaborazione della Polizia Provinciale di Belluno. Gli agenti infatti, dotati di un apposito lancia-siringhe ad aria compressa, seguiranno il team del professor Apollonio per selezionare gli esemplari da catturare. Una volta sedati, saranno analizzati, radiocollarati e poi rilasciati. Dopodiché i loro movimenti saranno tenuti sotto controllo dagli studiosi.
Sono tre gli agenti della Polizia Provinciale che collaboreranno al progetto come tiratori, accompagnati da tre osservatori per assicurarsi di recuperare l’animale una volta sedato.

 

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