Qual è quella cosa senza la quale nessun uomo può uscire ogni santa mattina? I calzini. Appallottolati sotto il letto, spariti nella lavatrice o nel cesto, sottovalutati ma alla fin fine necessari. Dove sono i miei calzini? In inglese, where are my socks? Una esclamazione che è diventata il nome della Wamsocks, fondata da Daniel Kaneider, 27 anni, e Robert Larcher, 26.
Un’impresa nata dopo la laurea magistrale in Imprenditorialità e innovazione alla Libera università di Bolzano, a dimostrazione che anche un capo di abbigliamento “ordinario” può dare spazio alla creatività.
Wams produce a Verona, affidandosi a un calzificio a conduzione familiare e che garantisce la lavorazione artigianale. L’innovazione sta nel design – colori, modelli – e nella cura del prodotto in ogni aspetto, anche la confezione. Un prodotto 100% made in Italy, e certificato OEKO-TEX® Standard 100 , che offre alle aziende appartenenti a tutta la filiera tessile uno strumento di controllo di qualità aziendale e documenta che gli articoli elencati sono stati testati con successo garantendo la sicurezza dei consumatori (no tinte nocive o prodotti chimici dannosi).
Al momento la vendita è online e in un centinaio di negozi, per una clientela prevalentemente italiana ma che raggiunge anche Germania, Austria e Svizzera. I modelli, una cinquantina, sono unisex.
L’attività è iniziata nel 2013 (la prima collezione è uscita in agosto, la prossima, appena uscita “spring summer 15”, si chiama “party collection) e già si sta valutando di inserire un nuovo socio e un designer a tempo pieno. L’azienda (una Srls ) punta in alto: a quota 50mila paia di calzini, per la precisione, e ben si adatta ai due fondatori, che il lavoro dipendente lo hanno già sperimentato: «Ho lavorato per un periodo in banca – spiega Daniel, che ancora studia per la laurea specialistica- ma ho capito che avevo voglia di misurarmi con qualcosa di veramente mio».
«Wams è una piccola azienda che tiene molto ai suoi prodotti. Essere indipendenti significa creare prodotti seguendo i nostri gusti e parametri; pensiamo che ogni dettaglio sia essenziale e che possa fare la differenza e cerchiamo di firmare ogni singolo paio con le nostre idee. L’idea principale per il futuro è appoggiarsi a materiali e filati innovativi di altissima qualità».
Alessandro Narduzzo, che dirige il corso di laurea, vede nascere giovani aziende sotto i propri occhi: «Questo indirizzo di studi è nato dieci anni fa, lontani dalla crisi e dalla necessità di stimolare l’autoimprenditorialità. In questo tempo abbiamo più volte cambiato pelle, introdotto novità, e oggi siamo come la Settimana enigmistica, contiamo numerosi tentativi di imitazione». Ogni anno il numero chiuso limita a 35 i nuovi iscritti, «ma le preiscrizioni superano quota 130, da tutta Italia. E va detto che la laurea è trilingue; alcuni corsi sono in italiano, altri in inglese e tedesco».
Capita spesso che una idea vincente nasca fra amici, anche in settori considerati poco propensi all’innovazione: «Penso ai calzini, ma basta guardare a quello che è accaduto nel settore del trasporto e dei taxi: lezioni di imprenditorialità insegnano a vedere le finestre di opportunità che si aprono, anche grazie alle nuove tecnologie». Proprio il fatto di spuntare fra gruppi ristretti rischia però di rendere le startup fragili, «proprio come neonati: fra amici è facile avere competenze in comune, ma magari ne mancano altre di necessarie. Noi insegniamo a costruire dei piani duraturi, poi ognuno trova la sua strada: c’è chi crea un’impresa e poi la vende, chi preferisce farsi assumere in altre realtà, chi, come Daniel, ha già una seconda di idea di impresa pronta nel cassetto». Top secret, naturalmente.