Dalla prelazione all’anticipo della mobilità: 10 informazioni utili per trasformare l’azienda in cooperativa (e salvare il lavoro)

I casi di successo sono noti: uno su tutti, la D&C Modelleria di Vigodarzere, Padova, tre bilanci in positivo (e un quarto in arrivo). I dossier allo studio (una decina), invece, sono riservati: è alto il timore di creare troppe aspettative. Ci sono stabilimenti che le multinazionali vogliono chiudere – lasciando però gli asset, capannone e macchinari che potrebbero ancora produrre, e subito – e classiche piccole aziende del Nordest, in crisi per diversi motivi (anche la scomparsa del titolare). La Regione Veneto – assessorato allo Sviluppo, Isi Coppola – e Unioncamere Veneto hanno messo intorno a un tavolo tutti i soggetti chiamati a fare la loro parte quando una attività sta per chiudere, e le persone che ci lavorano credono di poterle dare una seconda vita. Trasformandosi da dipendenti a soci, e l’azienda in cooperativa. Tecnicamente si chiama WBO, Workers buy out.

Impresa fattibile, se si segue un percorso preciso.

Ad esempio: i dati mostrano che chi ce l’ha fatta ha trovato un tessuto di sostegno tutto intorno: non solo lavoratori, ma anche istituzioni e sindacati. In questi casi, mediamente l’impresa riparte ridimensionata, con un numero di dipendenti inferiore (anche perché non tutti intendono esporsi rischiando in prima persona) e un fatturato ridotto, ma il tasso di sopravvivenza è simile rispetto alle aziende tradizionali.

Ecco una selezione di notizie utili per chi ci sta pensando.

 1 – IL DIRITTO DI PRELAZIONE – E’ una novità contenuta nel decreto 145/2013, più noto come Destinazione Italia. Qui si stabilisce il diritto di prelazione per le società cooperative costituite dai lavoratori di imprese sottoposte a fallimento, concordato preventivo o amministrazione straordinaria, nel caso di affitto o vendita di aziende, rami d’azienda o complessi di beni e contratti delle imprese stesse. Una novità non da poco: il Workers buy out è nato 30 anni fa, proprio in Italia, ma ora forse anche a livello centrale ci si è accorti che, nella crisi, è uno strumento su cui investire.

 2 – NON SOLO CRISI – Non è solo l’ipotesi fallimento che può far pensare alla cooperativa. Cinzia Bonan (Cisl Treviso Belluno) segnala tutte le aziende in cui manca un ricambio generazionale.

I dati comunque mostrano che questo modello funziona non solo in casi di imprese particolarmente innovative. Anche quelle giudicate mature – leggasi: quelle in cui nessun imprenditore subentrante investirebbe un euro – possono riuscire nell’obiettivo di dare un salario stabile, dignitoso, duraturo. Anche la prospettiva di un profitto non elevatissimo,  insomma, può giustificare la scelta di far andare avanti gli impianti e la produzione.

3 – REQUISITI – Quando pensare a una coop? Al tavolo la risposta  suona come un “basta non vendere gelati al Polo Nord”. Se un’azienda è decotta, senza mercato, senza futuro, non c’è coop o alternativa che tenga, “e le iniziative destinate all’insuccesso vengono scoraggiate fin dai primi colloqui” spiega Franco Mognato, direttore generale Legacoop Veneto. L’obiettivo non è prendere tempo o “tirare avanti”, ma non lasciare morire attività che possono contare su un mercato e su professionalità esperte. Nel caso delle Modellerie, ad esempio, proprio i clienti che hanno pagato in anticipo sono stati determinanti nelle fasi iniziali.

4 – L’ANTICIPO DELLA MOBILITA’ – E’ l’opportunità contenuta nella legge 223/1991: i lavoratori in mobilità che ne facciano richiesta per intraprendere un’attività autonoma o per associarsi in cooperativa possono ottenere la cifra in un unico versamento anticipato. “Nel 2013 lo hanno fatto 513 persone – spiega Antonio Pone, direttore Inps Veneto – Qualcuno si è messo un proprio, ad esempio aprendo un bar”. La richiesta va fatta al Centro per l’impiego, dove ci si può informare sulla documentazione da presentare (ad esempio avere aperto una partita Iva, avere a disposizione locali atti a iniziare) e attenzione alla scadenza dei 60 giorni. “In questo modo la legge ha riconosciuto che la mobilità può avere una logica virtuosa, ora andrebbe semplificata la procedura”, spiega Pone. E poi c’è il Tfr.

5 – IL CAPITALE DI PARTENZA – La mobilità in un’unica cifra, anziché diluita in tre anni,diventa il modo per poter dare capitalizzazione alla coop che nasce. Se si uniscono una ventina di operai (o comunque ex dipendenti), che possono metterci una media di 15-20mila euro ciascuno – cifra che può raddoppiare con gli strumenti della cooperazione – significa partire con un patrimonio di 750mila euro e più. Molto maggiore di quello alle spalle di tante realtà sul mercato. Questa capitalizzazione significa poter riprendere a lavorare senza dipendere solo da aiuti esterni. E soprattutto senza restare fuori dal mercato troppo a lungo (con il pericolo di essere dimenticati, sostituiti).

6 – I FONDI A DISPOSIZIONE – Sono quelli della cooperazione (mutualistici) e i Cfi. Le associazioni mettono a disposizione una serie di strumenti finanziari che derivano tutti da fondi mutualistici (alimentati dal versamento del 3% degli utili realizzati). Alla dote iniziale si unisce quella portata dalla Cfi (Cooperazione finanza impresa), la finanziaria costituita nel 1986 per attuate la legge Marcora, in favore delle cooperative di produzione, lavoro e sociali. “L’insieme delle risorse a disposizione può raddoppiare e oggi, con l’ingresso del ministero dello Sviluppo, i tempi si sono velocizzati: 35, 40 giorni” dice Maurizio De Santis, consigliere di amministrazione. Cfi partecipa al capitale sociale e dà credito per i piani di investimento, con l’obiettivo di sostenere nascita, sviluppo e riposizionamento di progetti “che abbiano un orizzonte temporale almeno di cinque anni: serve un progetto rigoroso, a garanzia dei soldi pubblici e di quelli che i lavoratori in prima persona ci mettono”.

7 – L’ARMA IN PIU’ DEL VENETO – In molte regioni – dalle Marche al Friuli Venezia Giulia – si lavora a norme capaci di dare nuovo impulso alla cooperazione. In Veneto c’è qualche strumento in più. Veneto Sviluppo, la finanziaria regionale, ha diversi strumenti a portata di coop nascenti. In primis i fondi rotativi (per tutte le imprese). In secondo luogo i fondi rischi, ovvero le garanzie concesse. Infine, la possibilità per Veneto Sviluppo di diventare socio, con quote minoritarie, per un periodo limitato (cinque anni, eccezionalmente sette) come socio finanziatore o sovventore. Per le coop c’è un fondo capitale di rischio da 2,2 milioni, beneficiarie le cooperative nuove ma anche esistenti che vogliano guardare a nuovi mercati.

8 – MENO BUROCRAZIA – Anche Veneto Sviluppo “ha agito per ridurre i tempi e la complessità delle operazioni – spiega Luca Felletti, dice direttore generale – Ora le richieste vanno presentate per via telematica, non c’è più un faldone di carte che può fermarsi su qualche scrivania”. E la Finanziaria si è già mossa anche con le coop: il primo caso di accordo (e ingresso nel capitale) ha riguardato una realtà agricola, un secondo è in fase di definizione, e tratterà il settore pulizie e facchinaggi. “Dunque settori completamente diversi, sottolinea Felletti – l’importante è non tanto la storia, ma le prospettive di trasformazione interna e di ricerca di nuovi mercati”.

9 – DA CHI NASCE L’IDEA – Nel caso della D&C Modellerie è stato un sindacalista ad avvertire del rischio fallimento: “Gli stipendi erano in ritardo, quando alla riunione indetta per discutere dei pagamenti e della tredicesima non si è presentato nessuno abbiamo capito”, spiega il presidente Alberto Grolla. Alla riunione operativa convocata dalla Regione hanno partecipato una trentina di commercialisti e consulenti del lavoro, altre figure di professionisti che possono avere il sentore di una situazione difficile e della necessità di cercare una alternativa.

10 – DUE RIVOLUZIONI – La prima è quella di chi cambia vita: “Nella cooperazione il lavoro viene al primo posto, e se ce n’è non si sta a guardare il tempo che si passa in azienda. È chiaro che è diverso dall’ammortizzatore sociale classico, che arriva indipendentemente da quello che si fa”, osserva ancora De Santis (Cfi). Questo porta alla seconda rivoluzione: “Quella che era una spesa secca per lo Stato, una integrazione al reddito mensile per un certo periodo, diventa un utilizzo virtuoso delle risorse. Entro due o tre anni una coop nata con risorse privare e, parzialmente, pubbliche, rende in termini di tasse, Iva eccetera circa il doppio di quanto ha avuto”.

 Il depliant che raccoglie gli strumenti del Workers buy out si può chiedere a:

Coop

Regione Veneto, dipartimento Sviluppo economico, sezione Industria e artigianato, 041 2795810 – 2795815

industria.artigianato@regione.veneto.it

 

e: Unioncamere Veneto, 041 0999411 mail europa@eurosportelloveneto.it