Oltre 70 adempimenti per avviare una pizzeria da asporto (scomoda per legge)

Sull’onda di una analisi svolta a livello nazionale da CNA, che con il suo Osservatorio pizza ha censito 8 milioni di pizze al giorno in Italia, oltre tre miliardi di pizze all’anno con 110mila pizzaioli a tempo pieno che salgono a 200mila nei fine settimana, in circa 130mila esercizi – il ramo trevigiano di CNA ha indagato la propria provincia. E ha scoperto che anche qui la pizza è un piatto anti crisi.

Il 31% delle attività di ristorazione trevigiane sono pizzerie. Un dato che pone la provincia di Treviso ben al di sopra della media veneta del 21,7% (in Veneto le attività di ristorazione sono 26.116, di cui 5.661 pizzerie).

È in aumento il trend di tutto il settore, basti pensare che le attività di ristorazione nel 2017 erano 2.373, cresciute di quasi cento unità in un paio di anni con le pizzerie che hanno una tendenza di crescita ben superiore alla ristorazione tradizionale.

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«Per la pizza non c’è crisi che tenga o più probabilmente è stata proprio la crisi a trainarne il boom, per il costo mediamente moderato di un cibo nutriente e gustoso come pochi – afferma Enrico Foffani (in foto), responsabile sindacale di CNA HoReCa, la categoria che rappresenta gli interessi delle attività di ristorazione, i bar, gli alberghi, i catering -. La crescita delle imprese con attività di pizzeria negli ultimi anni è stata costante, confermando il comparto come uno dei più virtuosi dell’economia trevigiana».
E se il ristorante pizzeria/classico ha perso qualche colpo, sono in crescita tutte le altre tipologie di attività che producono pizza per il consumo veloce (e meno costoso) come le pizzerie da asporto.

enrico-foffaniMa proprio le pizzerie da asporto hanno detti all’associazione di sentirsi vittime di sgambetti della burocrazia italiana: servono infatti circa 70 adempimenti per poter avviare un’attività e l’artigiano deve districarsi in una selva normativa. Lo denuncia la CNA, conoscendo a fondo le problematiche in cui si dibattono le circa 400 attività nella nostra provincia.

«A fronte della crescita numerica, anche nella nostra provincia, delle attività artigiane di ristorazione non assistita, continua l’accanimento burocratico contro questa tipologia di imprese – afferma Giuliano Rosolen, direttore di CNA -. Oltre ai 70 adempimenti per poter avviare l’attività, ne servono altri 20 per consentire il consumo immediato del prodotto. L’artigiano deve rispettare ben 33 circolari del MISE e sa di poter essere controllato da 21 diverse autorità ispettive».

Ma perché tutta questa burocrazia? Per la necessità del legislatore che la ristorazione non-assistita non venga assimilata a quella assistita, una necessità che non tiene però conto dei bisogni dei consumatori, che sempre di più si affidano per pasti veloci ad artigiani che producono pane, pizza o altri cibi da asporto. Da qui, negli anni è stata prodotta una selva normativa che decreta la scomodità per legge: se un cliente vuole consumare un pasto in una pizzeria da asporto o in un forno artigiano deve per forza stare scomodo.

«L’idea di voler creare uno spazio dove il cliente possa mangiare i cibi fatti dall’artigiano, senza l’assistenza del personale, è diventata quasi sovversiva – osserva Rosolen -. Per far consumare sul posto il cibo prodotto nel proprio laboratorio, l’artigiano è costretto a scalare una montagna di scartoffie, che oltretutto decretano per legge la scomodità del cliente».

pizzaE che dire dell’arredo: la scomodità deve essere la regola, sempre per non essere assimilati alla ristorazione assistita, e dunque, ad esempio, i piani di appoggio e le sedute devono essere non abbinabili; i piatti, le posate, i bicchieri non devono essere durevoli, con buona pace della sensibilità ecologica e della lotta al consumo di plastica usa e getta; l’erogazione di bevande alla spina è tassativamente vietata così come l’uso di macchine da caffè industriale: l’alternativa è costituita da bevande in bottiglia o in lattine e caffè in cialde fai-da-te.

Non solo la scomodità è la regola, ma talvolta la burocrazia sfocia in autentiche vessazioni. Per l’utilizzo degli spazi esterni, ad esempio, tutto è affidato ai singoli Comuni e questo genera un’inestricabile selva di divieti, incombenze, adempimenti diversi da città a città. «Chiediamo di aggiornare la Legge quadro per l’artigianato che risale a 35 anni fa, che è come un secolo per settori come l’agroalimentare – incalza il direttore della CNA -. È necessario che finalmente le imprese artigiane siano abilitate al consumo sul posto dei propri prodotti e alla vendita di beni accessori strumentali».

E aggiunge: «Per la CNA deve entrare nella definizione di “artigiano nella ristorazione” chi impiega più tempo nella produzione e preparazione degli alimenti rispetto al tempo impiegato nelle vendite. E allo stesso tempo chi ricava maggiori introiti dalla vendita di prodotti propri che dalla vendita di beni accessori. In tale definizione occorre non danneggiare nessuno permettendo a tutti di concorrere nel libero mercato con regole uguali».