Un post di semine e raccolti, siccità, prezzi, riso e cipolle padovane

La situazione legata alla siccità è sempre più critica e non si vedono cambiamenti in tempi brevi. Non solo piove poco, ma le temperature alte aumentano il fabbisogno di acqua.

Una fotografia arriva direttamente dai campi.

Campi di riso a Porto-Tolle

Il riso

I primi giorni di luglio è stato fatto il quadro della situazione: “Siamo con le risaie in asciutta, senza una goccia d’acqua da oltre 20 giorni. Il riso è ingiallito. Se non viene dissetato entro 15 giorni morirà”.

A parlare sono i risicoltori del Delta del Po: nei 700 ettari coltivati a riso Carnaroli, Arborio e Baldo in Polesine la situazione è drammatica. La siccità straordinaria e la risalita del cuneo salino stanno producendo danni gravissimi. Chi ha i campi vicino al mare ha già le piante di riso annerito e dovrà buttare via tutto. Gli altri sperano nella pioggia, che ieri sera è arrivata in forma di grandine con chicchi grandi come noci. Risultato: danni a mais, granoturco, soia e barbabietole.

“Attendiamo con ansia la nomina del commissario per l’emergenza siccità – dice Antonio Bezzi, componente della sezione risicoltori di Confagricoltura Veneto  e presidente del Consorzio risicoltori polesani, che conta una decina di grandi aziende di seminativi tra Porto Tolle, Taglio di Po e Porto Viro -. Abbiamo assoluta necessità che risolva il problema contingente, con il rilascio di acqua dai bacini montani. Siamo quasi alla disperazione: le risaie sono in asciutta, l’unica acqua che arriva è salata. Dal Consorzio Delta del Po non riceviamo più nulla da 20 giorni. I risicoltori vicino al mare hanno le piante annerite e possono dire addio al raccolto: è un mese e mezzo che non vedono risorsa idrica, perché la portata del fiume Po è talmente bassa che il mare entra e sala tutto. Il Comune di Porto Tolle ha installato un dissalatore, ma è solo a uso civile. Luglio è il momento più critico per il riso, perché fa tanto caldo e il riso ha bisogno di almeno 15 centimetri costanti di acqua. Quelli come me, che sono più lontani dal mare, possono resistere ancora un paio di settimane senza dissetare le piante, che sono già ingiallite e in stress idrico. Poi anche noi dovremo buttare via tutto”.

Ogni anno in Polesine vengono prodotte 5.000 tonnellate di riso del Delta del Po, che ha la denominazione Igp ed è un’eccellenza del territorio.  “Il riso nel Delta ha una funzione non solo agronomica, ma anche ambientale, perché è importante per la biodiversità – spiega Bezzi -. È una coltura ad antica tradizione e, anche se abbiamo già vissuto estati siccitose, vedi il 2003, mai abbiamo vissuto un annus horribilis come questo e mai siamo stati costretti a interrompere l’uso dell’acqua. Gli interventi per far fronte al cuneo salino non sono più rimandabili. Da decenni si parla di barriere antisale, ma sono state fatte solo nei rami secondari del Delta, che hanno funzionato sì, ma in stagioni meno difficili di questa. Urgono barriere nei rami principali del Po, che impediscano all’acqua salata di risalire”.

Un poco meglio va fin qui nel Veronese, dove si concentra gran parte degli investimenti del Veneto a riso con 2.160 ettari di coltivazioni quasi interamente a Vialone Nano. “Ci consideriamo dei privilegiati – sottolinea Romualdo Caifa, presidente dei risicoltori di Confagricoltura Verona -. L’annata è certamente molto siccitosa e dobbiamo stare attentissimi nel centellinare l’acqua, ma ad oggi non è mai mancata e non siamo stati costretti a scegliere quale coltura salvare. Dal Piemonte al Polesine tutti i nostri colleghi hanno enormi problemi. Noi invece possiamo ringraziare il Consorzio di bonifica che non ci ha mai fatto mancare l’acqua di derivazione dall’Adige, e anche le nostre risorgive, sorgenti di acqua dolce caratteristiche della nostra pianura che consentono alle risaie una costante irrigazione. Dalle prime impressioni il riso di quest’anno sembra anche di ottima qualità, anche se dobbiamo aspettare il raccolto per averne certezza”.

La cipolla

E anche dove il raccolto c’è stato ed è buono, non mancano i problemi.

Produzione abbondante, ma quotazioni bassissime è quello che accade a  Montagnana, dove a inizio giugno è iniziata la raccolta delle cipolle, ma i produttori si vedono pagare prezzi irrisori il frutto di mesi di lavoro, tanto che non riusciranno neppure a rientrare dalle spese. Il mercato, in questo momento, paga le cipolle 10 centesimi al chilo, quando il costo per produrle è di 18 centesimi.

“Siamo partiti già con quotazioni inferiori alla scorsa stagione, vale a dire 15 centesimi al chilo – spiega Giovanni Dovigo, segretario di zona di Confagricoltura Padova -. Poi progressivamente il valore si è abbassato, fino ai 10 centesimi attuali offerti dai commercianti ai nostri produttori. Ci spiegano che in questo momento c’è un eccesso di offerta che fa crollare i prezzi, dall’Europa e non solo, però poi vediamo che la grande distribuzione da gennaio ha aumentato i prezzi e le cipolle le vende mediamente a 1,50 euro al chilogrammo. E allora ci cascano le braccia. È chiaro che siamo di fronte all’ennesima speculazione, che penalizza migliaia di agricoltori che producono verdura e frutta fresca e di qualità. Chi ha mais e frumento si salva, ma chi coltiva solo orticole lavora sottocosto e potrebbe pensare, la prossima stagione, di non piantare più i bulbi. Chi conduce terreni più estesi deve anche impiegare manodopera, con costi che non riescono ad essere coperti dagli introiti”.

Fino a qualche anno fa le cipolle venivano quotate a 50 centesimi al chilo. Poi, con la pandemia e i lockdown, è iniziato il crollo del prezzo. Un andamento che potrebbe far cambiare orientamento agli agricoltori padovani, che da qualche anno avevano investito nel settore. Nel 2021 la provincia padovana è arrivata infatti a 110 ettari coltivati a cipolla, con un + 31% rispetto al 2020. Tutto questo mentre in Veneto la superficie è scesa dai circa 1.000 ettari del 2017 agli 830 ettari del 2021, con Verona capolista (590 ettari) e Vicenza terza, dopo Padova, con 90 ettari (-28%). “Questa è un’annata tutto sommato favorevole, con una produzione abbondante – dice Dovigo -. L’andamento climatico non ha creato particolari problemi dal punto di vista agronomico e il prodotto è di qualità medio-alta, con rese molto buone. Il prezzo è però la spina nel fianco, e non soltanto per le cipolle”.